No alla tassa di successione: presenta diversi svantaggi ed è inefficiente

Nel Si&No del Riformista spazio alla tassa di successione: è giusta come imposta? Favorevole l’imprenditore Riccardo Monti (amministratore delegato Triboo Spa) secondo cui tassa di successione “per non rafforzare il privilegio di chi ha già rispetto a chi non ha“. Contrario l’economista Riccardo Puglisi che spiega: “Presenta diversi svantaggi ed è inefficiente”.

Qui l’articolo di Riccardo Puglisi:

Come ogni imposta, quella sulle successioni e donazioni ha i suoi pro e i suoi contro, che sono anzi più estremi a motivo del fatto che essa viene pagata dagli eredi in un momento per definizione infelice, ovvero poco dopo il decesso del “de cuius”. Il vantaggio immediato è ovviamente quello per le casse dello Stato, come gettito aggiuntivo per finanziare le diverse spese che esso sostiene. L’altro vantaggio, che per alcuni non lo è così tanto, è dato dall’effetto redistributivo, nella misura in cui tale imposta viene pagata sulla base del patrimonio di soggetti sufficientemente ricchi, evitando grazie a franchigie il pagamento dell’imposta in caso di patrimoni non abbastanza corposi. Nella situazione italiana attuale, ad esempio, gli eredi in linea diretta (coniuge e figli) pagano un’imposta del 4% per la parte di patrimonio che eccede una franchigia per il singolo erede che è pari a un milione di euro.

Non darei però un quadro completo dell’imposta se – accanto ai vantaggi del gettito e dell’effetto redistributivo – non menzionassi anche gli svantaggi e le inefficienze che la caratterizzano. Come spesso capita in scienza delle finanze, il diavolo sta nei dettagli che vanno valutati con attenzione, collocandoli nell’ambito più generale della pressione tributaria che grava su individui e famiglie. Il primo tema – che fa da contraltare al vantaggio del gettito – è simmetricamente e contabilmente costituito dalla riduzione della ricchezza e del reddito disponibili di individui e famiglie: se tali misure della capacità contributiva sono già gravate da una pressione fiscale forte quando gli individui sono in vita, allora è matematicamente vero che questa pressione fiscale ulteriore derivante dalla tassa di successione non vada considerata per se stessa, ma per l’appunto sommata sui prelievi coercitivi di risorse che avvengono “in vita”. La contro-argomentazione ovvia è che qui la base imponibile è un’altra, cioè il trasferimento di ricchezza a motivo della morte, che – fatti i debiti scongiuri – non è avvenuta prima e dunque non poteva essere ancora tassata. Ma se l’intero reddito delle persone fisiche è tassato senza permettere la deduzione della quota di reddito risparmiata, allora la contro-argomentazione diventa molto più debole, anzi si annulla, in quanto con l’imposta di successione stiamo di fatto tassando nuovamente la parte del reddito che è stata risparmiata dal defunto e/o dalle generazioni precedenti.

Questa famigerata “doppia tassazione del risparmio” è stata fortemente criticata soprattutto da Luigi Einaudi, professore di Scienze delle Finanze a Torino e alla Bocconi, editorialista del Corriere della Sera (consegnava gli editoriali alla fine delle sue lezioni in Bocconi, prima di tornare a Torino), già governatore della Banca d’Italia e Presidente della Repubblica: evidentemente le sue “Prediche Inutili” sono state particolarmente inutili – o non abbastanza utili – quando si sono focalizzate sugli eccessi della tassazione e dell’intervento pubblico, qui compreso il tema del risparmio doppiamente tassato in seno a una famiglia. Non è finita qui: per i soggetti che detengono il proprio capitale immobiliare e finanziario in Italia, l’IMU e l’imposta di bollo dello 0,20% sul controvalore dei titoli detenuti sono i prelievi sulla ricchezza introdotti dal governo Monti in un periodo difficile come la crisi del nostro debito sovrano alla fine del 2011, che potevano essere di carattere straordinario e che invece sono diventati prelievi di carattere ordinario, cioè permanente. Dunque il prelievo sul trasferimento della ricchezza dato dall’imposta di successione non deve soltanto essere messo in relazione alla doppia tassazione del risparmio, ma anche al fatto che già esiste un’imposta patrimoniale ordinaria sia dal lato immobiliare che finanziario, di cui buffamente i politici nostrani sembrano dimenticarsi con preoccupante costanza.

Punto finale sul tema redistributivo: in che modo l’imposta di successione italiana riesce a toccare i patrimoni ingenti dei soggetti che detengono capitali all’estero, sotto forma di trust o fondazioni collocate in paradisi fiscali? È buona cosa che l’imposta di successione sia imposta sulla morte della media borghesia italiana, e non su tutta l’alta borghesia?