Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, spiega la ratio della sua riforma costituzionale, al centro del dibattito politico ed economico. Dalla separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e pubblici ministeri alla digitalizzazione del sistema giudiziario, passando per la riduzione dei tempi processuali e la lotta al sovraffollamento carcerario, il Guardasigilli va a fondo nel chiarire come questi interventi puntino a rafforzare la terzietà del giudice e la certezza del diritto. L’obiettivo è duplice: migliorare l’efficienza della giustizia per garantire legalità e, al tempo stesso, sostenere la competitività e l’attrattività dell’Italia nel contesto economico internazionale.
Ministro, la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante è uno dei punti qualificanti della sua riforma. Può spiegare in che modo questa misura rafforzerebbe l’imparzialità del giudice?
«La rafforzerà perché dalla riforma uscirà veramente un giudice terzo e imparziale, come è previsto dall’art. 111 della Costituzione. Oggi un cittadino sottoposto a processo non sa che i suoi giudici vengono a loro volta valutati, nella carriera e nell’eventuale procedimento disciplinare, anche dai suoi accusatori. Che i pm diano i voti ai giudicanti è un’anomalia tutta italiana, e quando ne parlo in sedi internazionali i colleghi stranieri manifestano incredulità».
I critici sostengono che la separazione delle carriere possa indebolire l’unità della giurisdizione. Come risponde a questa obiezione?
«Che l’espressione unità della giurisdizione è una vuota astrazione enfatica, che non significa nulla. La giurisdizione può infatti essere intesa nel suo significato restrittivo, dello “ius dicere”, e allora riguarda soltanto il giudice. Oppure come dialettica del contraddittorio processuale, e allora è un tavolo a tre gambe che comprende giudice, accusa e difesa. Limitarla ai primi due significa introdurre un concetto ingannevole, buono solo per le anime semplici».
Oltre alla separazione delle carriere, quali altri strumenti introdotti dalla riforma ritiene essenziali per migliorare la qualità e i tempi del processo penale?
«La riforma costituzionale affronta i problemi cruciali della terzietà del giudice, della vera autonomia del Csm e di una Corte disciplinare non eletta, come è oggi, dai potenziali incolpati. Ridurrà i poteri delle correnti e libererà la magistratura dai suoi condizionamenti interni. Per gli altri nodi fondamentali come la lentezza dei processi e il sovraffollamento carcerario molto abbiamo fatto e ancor di più stiamo facendo».
Secondo stime di Bankitalia e Confindustria, la lentezza dei procedimenti civili e penali ha un impatto diretto sugli investimenti esteri. In che modo questa riforma può diventare un volano per la competitività del Paese?
«Come ho detto, questa riforma, in quanto tale, non ha una incidenza diretta sull’economia, a differenza di altre che abbiamo fatto e stiamo facendo. Ma farà acquistare ai cittadini più fiducia nella giustizia, e quindi di riflesso sarà benefica per la certezza dei rapporti giuridici, anche economici».
Il sistema giustizia incide anche sulla spesa pubblica e sull’efficienza della PA. Sono previste semplificazioni o misure in grado di produrre risparmi strutturali?
«Certamente. In linea generale attraverso l’attuazione del Pnrr, sul quale il ministero è in perfetto orario. L’efficienza sarà garantita dalla digitalizzazione del sistema giudiziario, compresa l’inclusione della banca dati delle decisioni civili, gratuita e accessibile. Più che sui risparmi puntiamo sul potenziamento delle risorse. Ad esempio, per la prima volta da 80 anni colmeremo, entro il 2026, gli organici dei magistrati. Oltre all’assunzione di 11.500 amministrativi».
In ambito civile, molte imprese lamentano tempi lunghi per il recupero crediti e l’esecuzione forzata. Il nuovo assetto potrà produrre effetti concreti su questi aspetti?
«Li sta già ottenendo. La durata media dei processi civili si è già ridotta del 20%, quella dei penali del 28%. Di questo dobbiamo ringraziare anche i magistrati, che hanno lavorato molto e molto bene. Ci tengo a dire che, al di là delle divergenze di vedute sulla riforma costituzionale, il rapporto con Anm e Csm è costante e cordiale, abbiamo avuto vari incontri sulle questioni organizzative e siamo sempre pronti ad accogliere i loro contributi».
A che punto è l’Italia sulla digitalizzazione applicata anche all’amministrazione della giustizia? Quali sono gli obiettivi che il suo Ministero si è dato?
«Qui entriamo nella tecnologia complessa. Nel civile siamo andati spediti, perché la struttura del procedimento è abbastanza lineare. Nel penale abbiamo trovato più difficoltà, perché le variabili, soprattutto nella fase investigativa, sono tali e tante per cui non è stato facile elaborare un programma. Ma ci stiamo arrivando. Abbiamo riorganizzato il Dipartimento per l’innovazione tecnologica, potenziando le strutture ICT, cloud e sistemi telematici, avviando anche l’uso sperimentale dell’Intelligenza artificiale nel pieno rispetto del regolamento europeo. E per monitorare lo stato di avanzamento abbiamo istituito un Osservatorio della giustizia digitale».
Cambiando argomento, il sovraffollamento delle carceri italiane è una piaga strutturale, segnalata anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Quali misure urgenti intende adottare il governo?
«Prima di tutto diciamo quello che non si farà: né indulto né liberazione anticipata. Quando questi provvedimenti sono motivati dall’esigenza di ridurre il sovraffollamento carcerario, non solo costituiscono una manifestazione di debolezza dello Stato o addirittura di resa, ma sono anche inutili. Parlano le cifre. Nel luglio 2006, con il governo Prodi, la popolazione detentiva era di 60.710 detenuti. Con l’indulto ne furono liberati il 36%. Ebbene, tre anni dopo erano arrivati a 63.472, con una crescita costante, e con una recidiva del 48%. Noi ora ci stiamo occupando di 10.105 detenuti definitivi, con pena residua sotto i 24 mesi, che possono fruire di misure alternative alla detenzione in carcere. Spetta alla magistratura di sorveglianza decidere, caso per caso, se ne abbiano il diritto, e ora stiamo anche aumentando la pianta organica di questi magistrati, che ringraziamo per l’enorme lavoro che fanno. Nel frattempo interverremo sugli altri tre settori: la carcerazione preventiva, per la quale oltre 15.000 persone sono in carcere in attesa di una condanna definitiva. Poi il trasferimento di stranieri nelle carceri dei paesi d’origine: si tratta di oltre 20.000 detenuti: anche qui basterebbe mandarne via la metà. Infine i tossicodipendenti. Abbiamo stanziato 5 milioni di euro annui per il loro trattamento in custodia attenuata, cioè in comunità, o altre strutture, accreditate diverse dal carcere. Anche qui siamo prossimi alla soluzione. Ma non sono cose che si possono improvvisare».
Ritiene che sia giunto il momento di una riforma complessiva dell’esecuzione penale, anche in chiave deflattiva e riabilitativa?
«Credo che sia necessario intervenire sull’intero codice di procedura penale, riportandolo all’idea originaria di Giuliano Vassalli, garantista e liberale. In questo ambito anche la procedura esecutiva sarà rivista nella prospettiva che lei propone».
