Cinque punti. Il disarmo completo di Hamas. Il ritorno in patria di tutti gli ostaggi, sia vivi che morti. La smilitarizzazione di tutta la Striscia di Gaza, che non dovrà più essere una minaccia per Israele. Il controllo della sicurezza della regione, che sarà nelle mani delle Israel defense forces. Ma allo stesso tempo, vi sarà un governo civile arabo che non sarà gestito direttamente dallo Stato ebraico e da cui saranno esclusi tanto Hamas quanto l’Autorità nazionale palestinese. Dopo una riunione-fiume del gabinetto di sicurezza, il governo di Benjamin Netanyahu ha approvato all’alba di ieri mattina il piano per l’occupazione della Striscia di Gaza. Una strategia che manca ancora dei dettagli operativi, ma che potrebbe vedere l’utilizzo di circa cinque divisioni dell’esercito (le immagini satellitari ottenute dalla Nbc mostrano già un aumento delle forze ai confini della regione palestinese), per un tempo più o meno di cinque mesi, e che avrà due principali direttrici.

La prima, Gaza city, in cui si prevede una graduale avanzata e l’evacuazione di quasi un milione di persone entro il 7 ottobre, non a caso anniversario dell’assalto di Hamas da cui è scaturito il conflitto. La seconda, i campi profughi della zona centrale della Striscia, ultima roccaforte dei battaglioni di Hamas ma anche luogo dove già sono presenti oltre mezzo milioni di palestinesi. Uno schema complesso, su cui il gabinetto di sicurezza non è apparso mai davvero allineato. Alcuni ministri, ma soprattutto i vertici della sicurezza e il capo di Stato maggiore, il generale Eyal Zamir, hanno messo in chiaro che qualsiasi occupazione di questo tipo rischia di trasformarsi in una trappola. Il timore è legato principalmente alla sorte degli ostaggi, la cui vita è appesa a un filo sempre più sottile non solo per la fame a cui sono costretti (come dimostrato dai video) ma anche per il rischio di morire giustiziati o sotto i colpi del fuoco amico. Ma non è un mistero che Zamir abbia anche il fondato timore che la Striscia di Gaza possa trasformarsi in una palude di guerriglia, campi minati e tunnel inestricabili. Cosa che potrebbe portare anche a un numero molto alto di feriti e di morti tra le stesse forze armate.

E tutto questo avverrebbe mentre Israele ha intenzione di aumentare sensibilmente il volume degli aiuti umanitari, senza però sapere se si passerà esclusivamente dalla Gaza Humanitarian Foundation. Un tema fondamentale, perché Israele sa che dovrà farsi carico dei bisogni dei civili anche su pressione degli Stati Uniti, oltre che di tutta la comunità internazionale. Le indiscrezioni sulla telefonata di fuoco tra Netanyahu e il presidente Usa Donald Trump per il cibo a Gaza e le parole del vicepresidente Jd Vance sui disaccordi con lo Stato ebraico riguardo la conduzione della guerra (ma non sugli obiettivi) hanno confermato che Washington ha aumentato l’impegno sugli aiuti umanitari. Ieri, da Israele è stato ribadito che circa 200 camion sono entrati nella Striscia di Gaza, tra i valichi di Kerem Shalom e Zikim. Centinaia sono i tir in attesa di essere scaricati e distribuiti all’interno della regione palestinese. Mentre continuano anche i lanci di aiuti dagli aerei (ieri sono state paracadutate 72 tonnellate, secondo l’Idf).

Ma adesso, l’obiettivo è anche capire come funzionerà il dopoguerra, o quantomeno la fase che per Netanyahu prevede la consegna alle “forze arabe”. “Non occuperemo Gaza, libereremo Gaza da Hamas. Gaza sarà smilitarizzata e verrà istituita un’amministrazione civile pacifica, che non sia l’Autorità Nazionale Palestinese, né Hamas, né un’altra organizzazione terroristica”, ha scritto ieri su X il premier israeliano. Una scelta che lascia aperti diversi interrogativi su quale sia il vero piano di “Bibi”, mentre aumenta la protesta dei Paesi arabi (che vogliono un ruolo dell’Anp) e Hamas che ha già giurato una strenua resistenza.