Omicidio Iryna Zarutska, il caso scomodo per i media: perché la copertura mediatica è stata contenuta

L’omicidio di Iryna Zarutska, giovane rifugiata ucraina accoltellata a morte su un treno urbano a Charlotte (North Carolina) il 22 agosto scorso, è un caso emblematico non solo per l’efferatezza del gesto, ma soprattutto per il trattamento mediatico che ne è seguito.
La notizia è emersa tardi persino negli Stati Uniti e con enorme ritardo in Europa, in particolare in Italia, dove i grandi quotidiani hanno iniziato a parlarne solo marginalmente e spesso solo dopo che i social avevano già diffuso le immagini. Non si tratta di un incidente minore, ma di un omicidio che ha scosso profondamente l’opinione pubblica locale e che ha portato lo stesso Dipartimento di Giustizia americano a intervenire con accuse federali.

Zarutska, il momento dell’omicidio

Il modo in cui il delitto si è consumato, del tutto inusuale, e il fatto che sia stato ripreso in diretta dalle telecamere del treno, lo rendono ancora più in quietante: nel video si vede la ragazza che sale sul treno e si siede sul primo posto libero. Dietro di lei è seduto un uomo di colore con felpa e cappuccio calato sopra capelli in stile rasta, ha la testa appoggiata al finestrino. La ragazza guarda il suo smartphone, ignara della sua presenza. Dopo forse un minuto, l’uomo estrae un coltello a serramanico, lo apre con tutta calma indifferente e, all’improvviso, si alza e le sferra tre fendenti. Rapidi, violenti. Poi si allontana, si avvicina alla porta del vagone più lontana, si toglie la felpa che si era sporcata di sangue, la appallottola e la mette sottobraccio. Scende alla prima fermata. Nessun movente, nessuna ragione, nessuna provocazione. Un omicidio assolutamente irragionevole. L’omicida verrà arrestato subito dopo nella stazione.

Omicidio Iryna Zarutska, il caso scomodo per i media

Tutto questo, aggiungendo che la povera ragazza era una rifugiata ucraina, scappata dalla guerra per trovare la morte in modo assurdo nel paese che l’aveva accolta, avrebbe dovuto farne un caso degno di enorme attenzione. Eppure, la copertura mediatica internazionale è stata sorprendentemente contenuta. Perché? La risposta, per quanto scomoda, sembra risiedere nelle circostanze dell’omicidio: un uomo nero, sbandato e violento che, senza nessun motivo, uccide una giovane donna bianca. Proviamo a immaginare lo scenario inverso: un bianco, magari un suprematista che, senza ragione ammazza una ragazza nera. In quel caso si sarebbero immediatamente alzati cori unanimi di indignazione, come è giusto, sia ben chiaro. L’omicidio sarebbe stato bollato come crimine d’odio, le piazze si sarebbero incendiate, il movimento Black Lives Matter avrebbe gridato al razzismo sistemico e i media avrebbero amplificato la vicenda a livello planetario.

Perché la copertura mediatica è stata contenuta

Invece, quando la narrazione cozza con il dogma del politically correct, la reazione cambia. Questo omicidio, che mette a nudo la fragilità della retorica woke, viene ridimensionato e trattato quasi come un incidente di cronaca locale. L’informazione mainstream preferisce abbassare i toni, nel timore di alimentare argomenti che potrebbero essere percepiti come utili alla destra repubblicana. Il caso Zarutska dimostra che la violenza cieca e ingiustificata non ha colore politico o etnico: colpisce chiunque, e come tale dovrebbe essere raccontata, senza filtri né gerarchie. Quando si decide che alcune vittime “valgono di più” di altre, il giornalismo abdica alla sua funzione universale di testimonianza e verità.

Non è la prima volta che accade: la storia recente è costellata di episodi che hanno ricevuto un’attenzione mediatica sproporzionata rispetto ad altri, spesso in base a chi fosse la vittima e chi l’aggressore. In America, basti pensare ai casi che hanno dato origine a interi movimenti sociali, mentre del caso Zarutska si è parlato a malapena. Questo doppio standard finisce per generare sfiducia e alimentare divisioni.
Il risultato è paradossale e pericoloso: si crea una gerarchia delle vittime e degli assassini, in cui non tutti i morti hanno lo stesso peso mediatico e non tutte le responsabilità ricevono la stessa attenzione. Una stortura che, oltre a essere ingiusta per la memoria di Iryna Zarutska, mina la credibilità stessa dell’informazione.