Omicidio Nicholas, no all’ergastolo per i due ragazzini. L’affondo dell’avvocato Taormina: animi esasperati dai pm

Volevano chiuderli in una cella e buttare via la chiave. Come se questo potesse riportare in vita Nicholas, come se questo coincidesse con lo scopo del carcere: rieducare, riabilitare, reinserire. È vero che il carcere come lo intendono tutti oggi è una tomba per chi sbaglia. Ma un giudice si è ricordato che così non è e ha detto no. Chiedevano l’ergastolo per due giovani che all’epoca dei fatti avevano 18 e 19 anni. Una condanna “esemplare” per un omicidio e un tentato omicidio nato in seguito a una colluttazione. E invece il giudice della Corte d’Assise di Napoli ha condannato Maurizio Apicella e Ciro Di Lauro rispettivamente a 18 e 10 anni di reclusione non riconoscendo l’aggravante mafiosa (non erano mai stati indagati per 416 bis ma per la Procura le parentele erano un indizio) e quella relativa ai futili motivi.

Smontata dunque la ricostruzione della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, rappresentata dal sostituto procuratore Giuseppe Cimmarotta, nel processo per l’omicidio del 17enne Nicholas Di Martino e del tentato omicidio del cugino Carlo Langellotti, avvenuto a Gragnano (Napoli) la notte del 25 maggio 2020. Comprensibile la reazione della madre di Nicholas che in aula ha prima urlato e offeso i giudici dopo la lettura della sentenza e poi è stata colta da un malore. La donna nelle settimane precedenti aveva esposto diversi striscioni a Gragnano con la foto del figlio e una richiesta esplicita: “Con te mi hanno tolto la vita, mi è rimasto solo un po’ di respiro per chiedere giustizia: meritano l’ergastolo. Fine pena mai”. Quella notte Nicholas e il cugino Carlo erano in auto di ritorno da una festa di compleanno a Castellammare di Stabia. Inseguiti dallo scooter di Apicella e Di Lauro, dopo una discussione che c’era già stata il giorno precedente, nacque una colluttazione fisica durante la quale il 17enne ebbe la peggio perché raggiunto da un fendente all’arteria femorale. Nicholas morì poco dopo l’arrivo in ospedale, il cugino venne raggiunto da più fendenti che non intaccarono organi vitali.

Poche ore dopo la morte di Nicholas, ci fu un nuovo agguato nei confronti di un altro giovane, all’epoca 21enne, amico di Apicella e Di Lauro, ferito di striscio da uno dei sei proiettili esplosi mentre si trovava in scooter. Un processo, secondo l’avvocato Carlo Taormina (difensore, insieme al collega Giuliano Sorrentino, di Apicella), che vede i pm napoletani avere la «grave responsabilità di aver esacerbato gli animi di un ambiente già molto difficile come quello di Gragnano». Il riferimento è ai legami di parentela che vittima e aggressori avevano con elementi legati alla criminalità organizzata, alcuni dei quali in carcere da tempo, e a un presunto giro di spaccio non cristallizzato nella sentenza di primo grado. «La pubblica accusa aveva trasformato un disgrazia derivata da una lite tra ragazzini in un delitto di camorra che aveva portato a trattare il processo da parte della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli – ha aggiunto Taormina – La Corte non solo ha escluso l’aggravante mafiosa e i motivi abietti, ma ha stabilito che fu colpa di Nicholas quanto accaduto perché ha riconosciuto agli imputati l’attenuante della provocazione».