L’idea era a metà strada tra invenzione e provocazione, ma prima di tutto una sassata nello stagno della sinistra. Stiamo parlando della mozione che la Presidente del consiglio Giorgia Meloni ha annunciato in una intervista televisiva a New York in cui spiegava le due condizioni per un possibile riconoscimento italiano della Palestina; la prima: che vengano immediatamente restituiti tutti gli ostaggi israeliani. La seconda non meno importante: che Hamas sia esclusa per sempre da qualsiasi forma di partecipazione e di governo. Un passo avanti rispetto al no netto? Formalmente sì, ma è anche evidente (lo ha detto lei stessa) che Giorgia Meloni sperasse (e forse ancora spera) di provocare qualche effetto nel campo largo, una reazione se non interamente positiva, almeno ragionevole. Ma così non è stato anche se sulla scena politica italiana si è registrato un discreto parapiglia quando è arrivata da New York la proposta di Meloni.
Su La 7 Corrado Augias era ospite di Formigli quando è arrivata la notizia e, mentre il conduttore liquidava sbrigativamente la proposta con tono derisorio, Augias ha invece reagito dicendo: “Attenzione, questa è una proposta che merita riflessione”. Ma la sua è stata una reazione solitaria: tutto il campo sia largo che stretto ha detto no accusando in modi diversi la Meloni di essere “complice del genocidio” che è stato escluso anche da Papa Leone, un osservatore e un giudice severissimo. “Un misero espediente che conferma le avvia del nostro governo” ha detto Giuseppe Conte, seguito da Nicola Fratoianni. “Il Manifesto” titolava di conseguenza: “Le opposizioni non abboccano” e anche la Schlein ha risposto con un no sdegnato.
Le due condizioni sono gli obbiettivi stessi dichiarati da Israele fin dalla strage del 7 ottobre: liberazione di tutti gli ostaggi e cacciata di Hamas dal potere sui palestinesi. Si tratta di due condizioni realistiche che messe insieme costituiscono la classica “proposta cui non si può dire di no”. È stata certamente una mossa politica che puntava a sparigliare, perché le condizioni pongono l’opposizione di fonte all’aut-aut: dire di sì condividendo i due “purché” (purché gli ostaggi siano liberi e purché Hamas sia definitivamente eliminata), oppure dire di no schierandosi con Hamas che è quel che finora sembra essere accaduto: l’enfasi e lo sdegno rumorosissimo, stracarico di aggettivi sempre al superlativo e tratti dagli slogan delle piazze hanno vestito le varie forme di rifiuto di una proposta che impone di dire da che parte si sta. Finora nessuna voce si è registrata per accettare un confronto sulla questione della forma di uno Stato palestinese.
È su questo punto che si gioca la partita nel campo largo della sinistra che tuttavia contiene una molteplicità (silenziosa) di voci e di posizioni che avrebbero meritato e di essere vivaci e diverse in un possibile dibattito. Che dire? Meloni per ora non spariglia sul tema che ha fatto scatenare nelle piazze gli estremisti filo-Hamas, ponendo due condizioni che vanno al cuore del problema e che vale la pena ripetere. Uno Stato palestinese già è esistito grazie agli accordi di Oslo del 1993 e chi scrive si trovava con tutti i suoi colleghi a Gaza il primo luglio 1994 quando il leader palestinese Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin si abbracciarono, perché Israele cedeva la Striscia (un tempo egiziana) ai palestinesi per far parte del nuovo Stato. Come accadde e come fu per più di vent’anni.
Ottennero per quel risultato storico il premio Nobel per la pace entrambi i leader anche se Rabin fu poi ucciso da un estremista israeliano e Arafat morì quasi certamente avvelenato, come sostenne la moglie e come provò una equipe di medici svizzeri. Quello era lo Stato palestinese in cui nel 2005 si svolsero le elezioni generali vinte a mano armata dalla nuova élite di Hamas che fece strage dei palestinesi dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. La proposta Meloni, come saggiamente sosteneva Corrado Augias, contiene elemento di novità che potevano permettere nei campi di gioco, di separare coloro che di fatto sono per Hamas, da chi sinceramente e onestamente pensa che la soluzione dei due Stati per due popoli sia la soluzione giusta. Ma non si è sentito nulla oltre la siepe delle urla.
