Pamela Genini, quando il femminicidio diventa format: il dolore fotogenico e la tragedia vista come una serie

Dell’ultimo femminicidio, quello della 29enne Pamela Genini avvenuto due sere fa a Milano, mi ha colpito il fatto che su tutti i giornali, nessuno escluso, c’è la stessa identica foto: ovvero questo volto di Pamela col suo cagnolino in braccio, lo sguardo dolce, lo sfondo neutro, una posa da Instagram che diventa poi simbolo del dolore nazionale.

Il dolore fotogenico

Questa è l’immagine del giorno, replicata venti volte da Repubblica, al Corriere, al Messaggero, alla Stampa, a tutti i giornali. Cambiano i titoli, ma la foto è identica e ci racconta, scusate se lo dico così, qualcosa di più profondo, cioè che il dolore per essere riconosciuto deve essere anche fotogenico.

Così il femminicidio diventa un format

Pensate che distorsione. Noi finiamo per non raccontare più la violenza, ma la mettiamo in scena. Cioè anche il femminicidio non è più un fatto, ma un format, con le sue immagini, i suoi stereotipi, le sue reazioni prevedibili, e il corpo della donna diventa un contenuto da riprodurre, il lutto una sorta di sequenza virale. Intendiamoci, non è solo colpa dei giornali, è un riflesso collettivo perché noi guardiamo la tragedia come guardiamo una serie, in fondo vogliamo emozionarci, ma non vogliamo sporcarci.

E così, senza volerlo la vittima muore due volte, una per mano di chi l’ha uccisa e una anche per mano del nostro sguardo. Scusate la crudezza.