Paulette, il fumetto di Wolinski che descrive la rivolta giovanile del ’68

Non si può affermare di avere interamente cavalcato con lo sguardo l’onda lunga della rivolta giovanile del 1968, tra Parigi e Harlem e Tangeri, senza prima aver letto, anzi, visitato proprio con gli occhi l’avventura a china di Paulette, leggendario racconto disegnato: sì, un fumetto d’autore, opera feticcio realizzata a quattro mani da Georges Wolinski e Georges Pichard. E ora pubblicato da Oblomov Edizioni (euro 23). La nostra eroina, decisamente incline a una nudità prorompente, Paulette, è una ragazza, mi correggo, assai di più: una giovane ereditiera, rampolla di famiglia miliardaria con vista sul Boi de Boulogne, sorta di spermatozoo d’oro di Avenue Kléber, tra Arco di Trionfo e Madelaine, con spiccate, dichiarate, piccate simpatie doverosamente radical chic. Una irresistibile “gauchiste”, pronta a dondolare insieme ai suoi fianchi irresistibili tra i trotskisti della Ligue communiste révolutionnaire di Alain Krivine e i maoisti della Gauche prolétarienne con Dominique Grange, già caschetto biondo pop, che infine canta Les Nouveaux Partisans. E così via senza omettere gli echi del situazionismo.

Il racconto, il vangelo erotico di Paulette, se osservato nel suo insieme di sarabanda, è la summa estiva e fantasmagorica di un decennio di rivolte giovanili che si accompagna alla più profonda memoria letteraria e grafica. In filigrana, si intuisce l’epopea mondana della Madrague di Brigitte Bardot a piedi nudi tra i vicoli di Saint-Tropez, le suggestioni della prosa filosoficamente infuocata del Marchese De Sade pubblicata dall’editore Jean-Jacques Pauvert a prezzo di processi e denunce per oscenità e blasfemia, forse anche la perfida Milady dei Tre moschettieri. Una Justine trasfigurata in bomba erotica e così pronta ad affiancarsi alla controcultura letteraria e visiva delle barricate del maggio nel Quartiere Latino: tra manifesti, arredi, abiti, cappelli piumati, motociclisti borchiati, trafficanti di fanciulle, vecchi bavosi, carcerieri, ogni cosa trasfigurata in una sorta di Art Nouveau rivisitata nel boudoir rivoluzionario.

Paulette, sia pure a suo modo, nel tempo del “nude look” di Jane Birkin e del cestino di vimini sotto braccio come accessorio smart, va detto ancora, è decisamente collega, corrispondente, concessionaria parigina della creatura di Guido Crepax, la fotografa Valentina Rosselli, doppio a sua volta di Louise Brooks. Paulette tuttavia rinuncia all’evocazione onirica rarefatta per affermare decisamente, manifestamente, esplicitamente la propria irresistibile provocatoria essenza carnale. In Paulette sembra di ravvisare sia la letteratura tra “nero” e “gotico” del Monaco di Lewis, ma anche la pagina libertina, fino a giungere ai versi di Serge Gainsbourg che, ragionando proprio di B.B., giunge a definirla «la mia Rolls». Così tra prorompenza fisica ed esplicito miraggio erotico in un ideale villaggio turistico intitolato Ras-le-Bol-Ville, dove la traduzione viene da sé.

Di Wolinski tutti noi, ricordiamo il disegno essenziale, pochi tratti a restituire i fianchi, una bocca di ragazza, accanto alle sue intemerate sulla politica nelle pagine di Charlie Hebdo e Hara Kiri, e ancor prima Action e perfino Rouge, per poi approdare a l’Humanité, al tempo di Marchais. Un perenne pendolarismo tra sesso e politica, che tuttavia nel caso di Paulette lascia da parte il segno “stenografico” (che lo fa assimilare al compagno di strada Reiser) per creare figure femminili ciclopicamente desiderabili, forse addirittura “bambole” del desiderio; non a caso, lo stesso Wolinski, proprio negli anni di Paulette, realizzerà delle piccole “poupée” a immagine e somiglianza di se stesso e della sua amata Maryse. Paulette sta alla storia delle “bande dessinée” come Le mille e una notte alla letteratura, con in più lo spirito di un manifesto della rivolta surrealista. Buon viaggio, meglio, buon trip, tra le sue pagine.