A distanza di poche ore il cosiddetto campo largo è collassato da un capo all’altro dell’Italia. Prima in Piemonte e poi in Basilicata, l’alleanza tra il Partito democratico di Elly Schlein e il Movimento cinque stelle di Giuseppe Conte ha mostrato di non avere alcuna capacità autopropulsiva. In entrambi i casi, la spontaneità del movimento politico ha prodotto esiti in conflitto con le ragioni dell’alleanza. Poi in Basilicata, almeno, sembra essersi trovato l’accordo e in cambio, chissà, gli ex grillini faranno buon viso all’esito in Piemonte e così le apparenze saranno salve. Ma quale che sia il risultato poco importa. Di apparenze si tratta. Del disperato tentativo di preservare le condizioni formali di un’alleanza, non certo della nascita di un soggetto politico vitale capace di dare battaglia. Di fatto, l’idea di affidare all’asse giallorosso la costruzione di una piattaforma alternativa alla destra di Giorgia Meloni appare oggi priva di qualsiasi forza strategica.
L’assemblea di Torino
Tuttavia è nei modi in cui si è prodotta la sconfitta che Piemonte e Basilicata raccontano due storie molto diverse meritevoli di essere ascoltate. A Torino, il Partito democratico ha dato prova di una significativa tenuta politica e organizzativa. Un’assemblea regionale di 250 delegati su 315 ha votato all’unanimità per Gianna Pentenero. In campo c’erano Chiara Gribaudo e Daniele Valle, che di fronte al pronunciamento dei rappresentanti del loro stesso Partito, si sono ritirati, senza che nessuno dei due facesse valere ragioni di tipo personale o affiliazioni di carattere localistico.
I profili
Ma è il profilo dei tre protagonisti di questa vicenda che merita di essere messo in rilievo. Tutti e tre sono dirigenti del Pd, con una lunga esperienza di lavoro politico e amministrativo, in una regione in cui il Partito democratico può vantare significative tradizioni di governo locale e al tempo stesso una forte integrazione nazionale dei suoi gruppi dirigenti. Chiara Gribaudo è addirittura vice segretaria di Elly Schlein. Qui geografia e politica sembrano procedere di conserva e il pluralismo territoriale non diventa un fattore di disgregazione del corpo politico.
Le decisioni nel Mezzogiorno
Ben diverso, lo spettacolo in Basilicata. La scelta del candidato alle regionali in questo pezzo di Sud non ha obbedito a nessun processo istituzionale regolato, mentre è il partito stesso a essersi disfatto sotto i colpi di centri di interesse contrapposti. Come nella Campania di Vincenzo De Luca, la prima questione è la compiuta autonomizzazione della sfera locale rispetto al quadro nazionale. Nel Mezzogiorno d’Italia, le decisioni del centro non hanno evidentemente strumenti per affermarsi in periferia e devono sottostare alle decisioni in tutt’altra direzione assunte dai potentati locali.
La divisione
Ma è la stessa sfera locale a dimostrarsi del tutto priva di coerenza, divisa com’è tra gruppi contrapposti e interessi in conflitto. «Famiglie», ha detto Giuseppe Conte, con una parola drammaticamente densa di significato in questo pezzo d’Italia.
E poi c’è la questione del ruolo della cosiddetta società civile. In Basilicata, come già in Abruzzo, in lizza non ci sono uomini di partito, persone che possano vantare una qualche esperienza politica, espressione organica delle forze che si battano per il consenso. A guardarli, i candidati di questa tornata elettorale sono uomini dello schermo – Lacerenza che poi si è ritirato non ha esitato a dire di essersi ritrovato candidato quasi a sua insaputa – buttati inconsapevolmente nella mischia al posto di chi veramente comanda e che, al riparo dal rischio di misurare la propria forza nelle urne, si dedica ad organizzare politicamente nelle retrovie cospicue reti di interessi locali.
Pd, il luogo del disastro
Questa società civile priva di ogni autonomia ma pure sempre disponibile a farsi strumentalizzare ribadisce, in pieno ventunesimo secolo, la sconfortante permanenza della politica meridionale sul terreno di vecchie pratiche notabilari.
Non è privo di significato in proposito che il luogo di questo disastro sia il Partito democratico. Questa forza politica, in cui si riassume ciò che resta della vecchia democrazia dei partiti, sconta al Sud il tradimento perpetrato più di vent’anni fa nei confronti delle strutture storiche dell’Italia repubblicana, avendo all’inizio del secolo giocato frettolosamente e rischiosamente con il tema dell’autonomia ai tempi della sciagurata riforma del Titolo V della Costituzione. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Nella parte più debole del Paese, lo spettacolo che offre la politica, nella sua cronica incapacità di selezionare una classe dirigente degna di questo nome, è quello di un desolante sfaldamento. Viene da chiedere alla segretaria Elly Schlein perché un elettore del Sud dovrebbe votare il suo partito. E prima, perché dovrebbe prendersi la briga di andare al seggio?
