Ho apprezzato, nelle Leggi di Bilancio degli anni scorsi, l’azione del governo in tema di pensioni, che è stata oggetto – sia pure con qualche scivolone – di un’importante revisione delle sciagurate proposte contenute sull’argomento nel programma elettorale di centrodestra. Anche in questo campo, sia lode all’incoerenza. Quota 41, tanto cara alla Lega, è rimasta lettera morta; è stata smantellata l’impostazione iniziale delle quote (con Quota 100 il governo gialloverde voleva favorire l’anticipo del pensionamento; con Quota 103 e dintorni lo ha reso impraticabile); non si è arrivati a fissare in 1.000 euro mensili la pensione minima; è stato anticipato di due anni lo sblocco dei requisiti per il trattamento di anzianità.
Quest’ultima è sicuramente la misura più importante perché, come ha dichiarato il presidente dell’Inps Gabriele Fava, «l’aggiornamento dei requisiti alle variazioni dell’aspettativa di vita consente di tenere sotto controllo la spesa pensionistica e l’equilibrio di sistema minato dalla transizione demografica». È normale, pertanto, manifestare un certo stupore quando Claudio Durigon (sottosegretario plenipotenziario in materia di pensioni) si sbraccia ad assicurare la sospensione dell’adeguamento automatico dei requisiti di accesso al pensionamento in relazione all’allungamento dell’aspettativa di vita certificato dall’Istat. Sono questi i meccanismi che secondo la RGS (Rapporto n.26 del giugno scorso) hanno la funzione, come riconosciuto in sede europea e internazionale, di coniugare le esigenze di sostenibilità del sistema pensionistico con quelle di adeguatezza delle prestazioni. Tanto che la RGS stima, in quello stesso Rapporto, che la rimozione permanente di tali meccanismi, a condizioni invariate, comporterebbe un incremento del rapporto debito/PIL di circa 20 punti percentuali al 2045 e di circa 60 punti percentuali al 2070.
Ma se è molto discutibile un progetto che metterebbe a rischio la colonna portante di una tremolante sostenibilità del sistema catturato nella tenaglia della denatalità e dell’invecchiamento, lo è ancora di più il “volo pindarico” che porta Durigon a scuotere l’albero del Tfr. La novità in discussione riguarderebbe la possibilità di estendere la formula prevista per i lavoratori interamente nel contributivo (64 anni di età e 25 di contributi effettivi, che diventeranno 30) anche ai lavoratori che hanno contributi nel retributivo, attraverso la possibilità di calcolare la pensione con il sistema misto, retributivo più contributivo ognuno pro rata. E a questo punto viene chiamato in causa il Tfr, a cui è affidato un compito in più: essere impiegato per raggiungere la soglia minima – utile ad accedere a questo sistema di pensionamento – pari, a seconda delle tipologie, a un multiplo dell’assegno sociale.
L’operazione presenta due controindicazioni di rilievo: fermi restando i requisiti contributivi, sarebbe ridotto di ben tre anni (da 67 a 64) il requisito anagrafico per il trattamento di vecchiaia, senza peraltro passare attraverso il ricalcolo interamente contributivo, come è avvenuto fino ad ora nei casi di anticipo della pensione. I maggiori oneri non si pareggeranno grazie al bonus Giorgetti, nonostante siano stati risolti alcuni aspetti rimasti in sospeso, il più importante dei quali è quello della detassazione della contribuzione a carico del lavoratore (circa il 10%) in busta paga per chi rinvia il pensionamento anticipato. Secondo l’UPB si tratterebbe di 6.900 euro all’anno per un reddito lordo di 40mila euro, da mettere in relazione con il minore importo della pensione derivante da un montante più ridotto.
Con il “soccorso rosso” del Tfr si complicherebbe la vita ai soggetti interessati. Oggi costoro vanno in pensione in base ai requisiti demografici e contributivi previsti; si aggiungerebbe loro un ulteriore requisito di adeguatezza intorno a tre volte l’assegno sociale (circa 1.600 euro mensili) da coprire con quote di Tfr. I sindacati si sono inalberati troppo in fretta. Ma mi creda, Durigon: è ora di finirla con questa “ansia da prestazione” sulle pensioni. Abbiamo già dato. Anche troppo.
