Negli ultimi giorni i titoli dei giornali hanno rimbombato con toni solenni: “Gli esperti di genocidio dichiarano che a Gaza è genocidio”. A leggerli, sembrerebbe che un tribunale internazionale o un organismo delle Nazioni Unite abbia emesso una sentenza storica e vincolante. Ma la realtà è ben diversa. La dichiarazione arriva dall’International Association of Genocide Scholars (IAGS), presentata come il comitato degli “studiosi del genocidio”. Una definizione altisonante, che lascia intendere autorevolezza, rigore accademico, selezione dei membri. Ma se si guarda più da vicino, il castello crolla in un istante.

Per iscriversi all’IAGS non servono titoli universitari, pubblicazioni scientifiche o anni di ricerca sul campo. Basta collegarsi a un sito Internet, compilare un modulo e pagare una quota annua di 30 dollari a un’associazione privata con sede in Illinois. La stessa che si spende per un abbonamento a una rivista. Con questa cifra, chiunque può diventare “esperto di genocidio”, senza alcuna verifica di curriculum, competenze o contributo alla materia.

Eppure, è stata proprio questa associazione a emettere, il 31 agosto, la dichiarazione secondo cui Israele a Gaza starebbe commettendo genocidio. Una decisione approvata, si legge, con l’86% di voti favorevoli. Percentuale che suona imponente, se non fosse che a votare è stato appena il 28% degli iscritti totali. In pratica, meno di un terzo dei membri ha espresso un parere, che poi è stato trasformato dai media in un verdetto unanime e ufficiale.

Non solo. Secondo fonti critiche, circa il 30% degli iscritti risulterebbe residente in Iraq, una concentrazione geografica anomala che solleva più di un dubbio sulla reale neutralità dell’associazione. È evidente che, con simili criteri di ammissione e una tale distribuzione dei membri, il peso di queste deliberazioni non possa essere assimilato a quello di un organo scientifico riconosciuto a livello internazionale. E pensare che gran parte della stampa ha trattato la notizia come un “fatto acquisito”: gli esperti hanno parlato, la scienza ha emesso il suo verdetto. Nessun titolo che spiegasse chi sono davvero questi “esperti”, nessuna analisi sulle modalità del voto, nessuna distinzione tra una presa di posizione politica e una valutazione giuridica.

Questo è il punto più grave: un’associazione privata, senza criteri di autorevolezza stringenti, è stata trasformata mediaticamente in una sorta di Corte penale internazionale parallela. Una manipolazione del linguaggio che non serve a chiarire i fatti, ma ad alimentare la narrazione tossica che criminalizza Israele a prescindere, e che mette sullo stesso piano propaganda e diritto internazionale. Non c’è nulla di male, in democrazia, che un’associazione prenda posizione. È, anzi, naturale. Ma c’è molto di male quando questa posizione viene presentata come il pronunciamento vincolante di un organismo imparziale e qualificato. Invece l’organismo in questione non è né imparziale, né qualificato. È così che l’opinione pubblica viene ingannata, ed è così che la propaganda trova nuova linfa sotto le mentite spoglie della scienza.

Paolo Crucianelli

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