Per Putin la diplomazia è carta igienica. L’Ue resta un nano politico, il coraggio non è più rinviabile

Dopo l’ennesimo diluvio di missili su Kyiv, solo un personaggio grottesco come António Guterres poteva invitare Zelensky a “non perdere lo slancio diplomatico”. E solo un egomaniaco dal lessico adolescenziale come Trump poteva commentarlo con un “non sono contento”. La verità è che la carta diplomatica Putin l’ha sempre considerata, nella migliore delle ipotesi, una specie di carta igienica. Eppure, dovrebbe essere ormai chiaro: il tycoon newyorkese è stato preso in giro (ma non a sua insaputa) dal despota del Cremlino; l’Europa è stata presa in giro da Donald.

Dal canto suo, ci ha pensato Sergej Lavrov a chiudere il discorso. Nei giorni scorsi, infatti, ha ribadito che la Russia non intende rinunciare al diritto di veto sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Ha cioè ribadito esattamente la stessa clausola, inserita a sorpresa dai negoziatori russi nella bozza di accordo del 15 aprile 2022, che decretò il fallimento della trattativa di Istanbul.

La strada in salita

Sembra che alcuni leader europei (ma non tutti) l’abbiano finalmente capito. Sapranno tirarne tutte le conseguenze? Beninteso, la strada è ancora lunga e tutta in salita. Perché, come ha sottolineato Mario Draghi al Meeting di Comunione e Liberazione, l’Ue così come la conosciamo resta un nano politico e militare al cospetto delle potenze planetarie. E, in proposito, qualche domanda a Ursula von der Leyen andrebbe posta: che ne è del piano “ReArm Europe” (poi ribattezzato “Readiness 2030″)? Quanti governi vi hanno aderito e lo stanno utilizzando? Forse è stato messo in soffitta perché l’accordo sui dazi prevede un massiccio acquisto di armi americane? È vero, la Nato ha appena annunciato che tutti i Paesi aderenti hanno raggiunto o superato il 2% del Pil destinato alla spesa per la Difesa (con la fantasia che ci contraddistingue, noi vi abbiamo incluso anche quella per la Guardia di Finanza e le Capitanerie di Porto). È una buona notizia, ma racconta poco o nulla del sostegno militare che l’Europa intende dare all’Ucraina, auspicabilmente senza le riserve e i vincoli del passato.

Gli asset russi

Non si tratta, però, solo di fornire più armi e più moderne. Occorre accelerare l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue (ci sono molti modi per superare il veto di Orbán). Il ministro Tajani ha dichiarato che bisogna inasprire le sanzioni finanziarie verso Mosca. Bene, una briscola da calare sul tavolo da gioco c’è: confiscare gli asset russi (circa 200 miliardi di dollari), congelati prevalentemente nella società belga di servizi finanziari Euroclear, destinandoli a un fondo per armare e ricostruire l’Ucraina. Negli ultimi mesi l’idea è stata discussa sia a Bruxelles che a Strasburgo. Oltre alla Polonia e ai Paesi baltici, anche la Finlandia e l’Austria si sono dichiarate favorevoli. Anche qui occorrerebbe l’unanimità del Consiglio europeo (a quando la sua abolizione?). Ma non è un buon motivo per stralciare la questione dalla sua agenda.

Uno splendido pensiero di Sant’Agostino recita: “La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose; il coraggio per cambiarle”. Lo sdegno, almeno in parte, c’è. Il coraggio non è più rinviabile.