Sta bene il supporto all’Ucraina e ancor più il muso duro alla Russia di Putin, ma la corsa al riarmo ha bisogno di realismo, prima di tutto. «Dobbiamo stare attenti a non comprometterci soldi e futuro contro un nemico sfinito economicamente e demograficamente da quattro anni di guerra», osserva Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation di Roma, che ricorda quali siano i compiti dell’Alleanza atlantica, ovvero «ristabilire una deterrenza convenzionale e nucleare».
La riflessione emerge alla luce delle tante mosse che i governi europei stanno facendo a fianco di Kyiv. Mosse che, alle volte, appaiono individualistiche. Per quanto giustificabili. Vedi la Francia che fornisce Rafale a Zelensky al ritmo di 3-5 al mese. In altri casi, più al rallentatore e parziali. Com’è il caso della “Schengen militare”, proposta appena ieri dall’Ue, che dovrebbe permettere a militari e mezzi di muoversi entro i confini europei evitando le estenuanti burocrazie attualmente in essere. Uscita tardiva, quella di Bruxelles. Sulla carta, una volta che ci si è resi conto del rischio, il primo passo da fare è facilitare alle proprie forze gli spostamenti interni. A questo ci si sarebbe dovuto pensare già nel 2022. «Le minacce implicano una reazione logica», osserva Politi. «Se ci sono, ma tu ti comporti come se nulla fosse, c’è qualche problema. Al contrario serve fare delle valutazioni attente».

Ha un altro senso invece parlare di guerre ibride, alle quali sono esposti non solo gli Stati membri Nato più di frontiera, ma proprio il centro nevralgico dell’Alleanza. I droni che hanno sorvolato Bruxelles non è possibile che siano partiti dalla Russia. È plausibile che il nemico disponga di pied-à-terre su suolo europeo. In questo caso però, serve ben altro che gli eserciti tradizionali. È un discorso di competenze e tecnologie di cui l’Europa non dispone ancora. «La sicurezza in un contesto di guerra ibrida comporta un insieme di contromisure elettroniche, informatiche, di guerra cognitiva e di mobilitazione politica, che sono diluite nei piani di riarmo di cui si sta parlando da mesi». Contromosse a cui va aggiunta una politica di comunicazione volta a evitare che l’opinione pubblica si sfaldi e cada nel minimo tranello di voler far pace con il nemico.
In questo caso il modello Zelensky è virtuoso. Abile comunicatore, prima ancora che leader politico con insospettate capacità di tenuta, il presidente ucraino ha saputo coagulare uno spirito di resistenza contro Mosca di cui ancora vive. «L’Ucraina ha retto non solo per la difesa militare, ma perché c’è stata una mobilitazione politica intorno a Zelensky», ricorda Politi. «Quello che conta è come si sia unita l’opinione pubblica nazionale, che ha saputo dare un’imprevedibile colpo d’arresto a Putin, a dispetto di corrotti e quinte colonne». Lecito chiedersi se i paesi sia Nato sia UE siano e saranno in grado di fare altrettanto.
