Produttività, Pil e demografia: servono scelte di prospettiva, la politica deve rivedere le sue priorità

INSERIMENTO AL LAVORO OPERAI OPERAIO GIOVANE ADDESTRAMENTO TIROCINIO APPRENDISTATO APPRENDISTA GENERATE AI IA

L’Italia è uno strano Paese. Ci sono problemi che ci trasciniamo da anni, irrisolti. E ci sono emergenze oggi giustamente evocate, che per anni abbiamo considerato una normale evoluzione del progresso sociale. Frugando tra i dati dei bilanci d’autunno forniti dall’Unione europea, il “Sole-24Ore” ha avuto la buona idea di mettere in fila tre questioni che ingombrano il futuro dell’Italia: demografia, produttività e Pil. Per affrontare tutti e tre i problemi ci vorrebbe solo un po’ di politica determinata e selettiva. Una “cura da cavallo”? Forse. Certamente non bastano pannicelli caldi, che tradotto vorrebbe dire un miliardino qui, un altro là. Ci vogliono scelte coerenti e di prospettiva, quelle che in Italia non piacciono.

Da quanto tempo ci si lamenta della nostra scarsa produttività?

Se negli ultimi dieci anni è aumentata dello 0,7% contro una media Ue del +3,6% ci sarà un’urgenza? Il Governo su questo fronte balbetta, come tanti che lo hanno preceduto. La produttività si raggiunge con investimenti nelle aziende e lavorando per più tempo, soprattutto nei settori ad alto valore aggiunto. Insomma, non è solo un problema di occupazione, che certamente è cresciuta negli ultimi anni, ma di qualità dell’occupazione e di disponibilità a lavorare di più. Senza indicare la Grecia come modello – dove si è stabilita la possibilità di definire un orario di 13 ore giornaliere di lavoro – certamente in Italia si lavora poco. E poco si fa per lavorare di più: siamo invece attenti ad aggiungere festività (come quella di San Francesco, recentemente reintrodotta a furor di popolo, e di Parlamento) e organizzare scivoli per anticipare la pensione.

Investimenti?

Il Governo ha fatto poco per favorirli. Da tre anni si rimbalzano versione diverse del piano “Transizione 5.0” che di fatto hanno impedito di avere la certezza degli incentivi per convincere le imprese a innovare, investendo. Tre anni di ritardo si possono colmare solo con decisioni forti e rapide. La produttività non è un obiettivo impossibile; richiede solo volontà e decisione politica e sociale (datori di lavoro e sindacati dovrebbero mettere la produttività al centro dei rinnovi contrattuali).

Il Pil?

In Europa peggio di noi solo Germania (il nuovo grande malato che ha dismesso da tempo il suo ruolo di locomotiva continentale) e Finlandia. La Spagna cresce a un ritmo più che doppio rispetto a noi. E infatti in Spagna si lavora di più e si fanno anche più figli.

E veniamo alla demografia. La crisi delle nascite non si risolve in un anno e con un bonus appena un po’ più ricco per chi fa figli; ci vuole un progetto politico di lungo periodo, ci vogliono investimenti certi e programmati, non decisi anno per anno, ma vincolati e vincolanti nell’orizzonte del tempo di una generazione. Si tratta di invertire una tendenza consolidata delle coppie in Italia (non solo italiane, anche gli stranieri immigrati che arrivano in Italia fanno meno figli) che scommettono sempre meno sul futuro. Tutti sono indotti a vivere alla giornata, come l’azione politica che da decenni prosegue con aggiustamenti annuali, con bonus episodici che si accumulano e non sempre sono fruibili, con uno sguardo miope sul fronte del “ricambio generazionale”. L’unica certezza, da decenni, è quella di scaricare il debito pubblico su chi verrà dopo di noi, cioè i nostri figli e i nostri nipoti.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha recentemente sintetizzato la questione con lucidità: “La struttura e l’equilibrio demografico di un Paese riflettono il progetto di vita che lo connota”. Verissimo. Ma per quanti anni si è promosso uno sguardo compiacente a chi riduceva il numero di figli per coppia, come se fosse una conquista di libertà individuale? Per decenni si è voluto credere che “fare figli” fosse retaggio di una cultura incline al Medioevo e non rivolta alle “magnifiche sorti e progressive” (per citare la cinica ironia di Leopardi) di chi progettava un futuro più incline all’edonismo sociale che a un impegno per creare un grande Paese, che ha bisogno da sempre di grandi numeri nella popolazione.

Oggi non bastano più i moniti di saggezza, anche tardiva, di chi ha condiviso la guida del Paese negli ultimi cinquant’anni. Ci vuole una forte discontinuità, dichiarata, per sconfessare un disinteresse voluto nei confronti della famiglia “tradizionale”, che è quella che favorisce la generazione di nuovi individui, che diventeranno cittadini e lavoratori, con beneficio per tutti. La famiglia ha bisogno di aiuti stabili, progettati e assicurati nel tempo. Anche la battaglia contro la crisi demografica è “solo” una scelta possibile, e la politica è l’arte del possibile.