Quando la pandemia finirà, ci ricorderemo che non siamo immuni da nulla?

“Prima gli italiani” comincia a non sembrare più uno slogan così assurdo, la chiusura delle frontiere è una necessità momentanea ma anche l’inconscia rivincita contro un’omologazione mai accettata fino in fondo. Le categorie più fragili (i senzatetto, i carcerati, i migranti) sono dimenticati senza troppo scalpore, nonostante le altamente proclamate intenzioni di solidarietà e il meritorio lavoro dei volontari. Che la sinistra sia una postura per gente in salute? Stiamo verificando quanto ci costa abbandonare abitudini anche banali o addirittura dannose: l’aperitivo, la sigaretta, il pilates. La scoperta che, in certe emergenze, l’autoritarismo è più efficace della democrazia non sembra aver scalfito nel profondo le coscienze: qualcuno se ne occupa, ma la protesta su questo non riesce a diventare di massa. Dopo aver rimosso la morte per troppi anni, e averla allontanata dal discorso pubblico, lei ci è piombata addosso con violenza e abbiamo fatto fatica a prenderne atto. All’inizio si diceva “i deceduti sono ultrasettantenni con polimorbilità”, e la tecnicità del linguaggio serviva per nascondere. Con la sola, quasi, lodevole eccezione di Enrico Mentana, la tivù li trattava solo in quanto numeri rassicuranti per i giovani. Poi sono arrivati i furgoni carichi di bare, e con loro le storie individuali. La morte esiste, è visibilmente tra noi; l’illusione di onnipotenza che il nostro sistema economico voleva venderci è finita; neppure la scienza, moderna religione, è onnipotente. Tutte le pandemie finiscono, certo, ma saranno molti i conti da fare, dopo. Tutte le cose che abbiamo sbagliato, le direzioni che ha preso il nostro sviluppo; il meglio e il peggio della globalizzazione. La velocità del nostro mondo è un formidabile ripetitore epidemico, ma forse il mercato degli animali di Wuhan era ancora troppo poco globalizzato: standardizzazione significa anche asetticità, nel bene e nel male. Siamo presi in una tenaglia psicologica, tra la fretta che tutto torni come prima e la speranza che niente sarà più come prima. Non siamo abituati ad avere paura, le guerre le combattono gli altri, e perfino definire questa una guerra serve a renderla mitica, allontanandola dalla continuità del nostro quotidiano. E noi invece siamo questo, tutto insieme: la fragilità sanitaria, gli equilibri di forza e il terrorismo, la lotta tra gli imperi, la polluzione planetaria e l’emarginazione dei poveri; i cigni neri incrociano nel nostro cielo, non siamo immuni da nulla. Per quanto ce lo ricorderemo, nell’euforia della ripresa ?