C’è molto nervosismo e insofferenza tra le fila di La France Insoumise. Una irritabilità che proviene dalla recente pubblicazione di un’inchiesta destinata a scuotere l’intero Paese; un libro che rivela i rapporti tra il movimento di Jean-Luc Mélenchon e l’islamismo: I complici del male (Editions Plon), del giornalista e scrittore siriano naturalizzato francese Omar Youssef Souleimane. Ha costruito la propria inchiesta infiltrandosi nelle primissime manifestazioni e raduni organizzati in Francia già all’indomani del 7 ottobre 2023. E si è trovato di fronte a quella che descrive come una strategia mirata: un patto elettorale tra La France Insoumise e gli ambienti islamisti.

Quando e perché hai deciso di scrivere I complici del male?
«Ho deciso di scrivere questo libro dopo l’attacco del 7 ottobre e soprattutto quando Mélenchon ha considerato il massacro di Hamas come una reazione alla violenza, un’affermazione, una dichiarazione confermata da La France Insoumise il giorno dopo il massacro di Hamas. Soprattutto perché provengo da un mondo chiamato Medio Oriente, e questo mondo è dominato dagli islamisti. Non volevo che la Francia, il Paese che io ho adottato, e che mi ha adottato, fosse offesa da queste persone e dalla loro complicità con La France Insoumise».

In che modo il tuo libro è stato osteggiato?
«La France Insoumise ha cercato di bloccare il mio libro. Questo partito politico ha intrapreso un’azione legale per ottenerne una copia prima dell’uscita e sporgere denuncia per diffamazione. Lo trovo contraddittorio, perché, mi chiedo, come si può sporgere denuncia contro un libro che non si è ancora letto? E così hanno cercato di impedirne la pubblicazione. Volevano evitare problemi e quindi hanno provato a censurarlo. Ma non ci sono riusciti perché i tribunali francesi hanno avuto voce in capitolo, e i giudici hanno stabilito che La France Insoumise non aveva il diritto di ottenere una copia prima dell’uscita del libro».

Come nasce l’alleanza sinistra-Islam?
«L’alleanza tra islamisti ed estrema sinistra francese nacque negli anni ’70, con l’arrivo di Khomeini in Francia, quando fu accolto dalla sinistra francese perché si presentava come un combattente della resistenza contro l’imperialismo. La sinistra francese lo ammirava per questo e lo sostenne di conseguenza. Quando tornò in Iran, i primi che assassinò furono iraniani della sinistra. Ma la sinistra francese continuò a sostenere gli islamisti in Francia perché scoprirono sempre questa immagine, questa figura di combattenti della resistenza, di rivolte. E questo supporto ideologico purtroppo continua ancora oggi».

Cosa attrae la sinistra dell’Islam?
«Penso che ci sia quest’idea che attrae la sinistra verso l’Islam: preferisco dire islamisti, ma non dell’Islam in sé come religione. Perché in Medio Oriente c’è una contraddizione. È strano vedere un islamista legato a un uomo di sinistra. Perché la sinistra in Medio Oriente, soprattutto in Siria, per esempio, o nei Paesi arabi, è legata all’ateismo, alla modernità, al Rinascimento, mentre l’islamismo è legato alla nostalgia del passato, all’arroganza di un califfo. Ma ciò che attrae la sinistra in Francia è quest’idea di rivolta contro il capitalismo. C’è un’altra cosa che li attrae: la narrazione vittimistica che esiste tra gli islamisti, i quali credono ci sia un complotto occidentale contro di loro. E questa narrazione vittimistica esiste anche tra la sinistra, perché credono che l’Occidente stia facendo di tutto per distruggerli».

Scrivi: «Vengo da un mondo in cui la parola ebreo è un insulto». Come viene educato un bambino siriano in tal senso?
«È stato orribile crescere in questo mondo in cui si dà dell’ebreo per insultare e denigrare, in cui l’antisemitismo domina la sfera pubblica: un bambino siriano che ha vissuto in questa atmosfera, quando arriva in Francia o in Europa, o diventa fortemente antisemita o acquisisce consapevolezza perché vede come questa atrocità stia distorcendo la società».

Non pensa che in Occidente si dia più spazio ad attivisti, influencer, alla Flotilla per Gaza, anziché ai palestinesi dissidenti di Hamas? Perché?
«Abbiamo prestato molta attenzione alla Flotilla di Gaza e agli influencer di Hamas perché proviamo una certa nostalgia per la resistenza e la rivoluzione, soprattutto tra i giovani e per chi ha un passato da militante. Ci sono stati scioperi nei campus durante la guerra con l’Algeria, durante la guerra del Vietnam. E i giovani in qualche modo rivivono tempi mai vissuti. Ed è per questo che oggi intraprendono questa resistenza, perché stanno anche vivendo una crisi d’identità. Così hanno scoperto, o trovato, in Palestina lo strumento attraverso il quale rafforzare o praticare questa resistenza immaginata».

Come risvegliare le coscienze degli occidentali?
«Per quanto riguarda la coscienza degli occidentali, penso che possiamo semplicemente continuare a lavorare, a rimanere forti, a preoccuparci, a non arrenderci, a scrivere, ovviamente. E a continuare a parlare, unendosi. Questa è la cosa più importante. E penso che col tempo, piano piano, le persone, gli europei, non si lascino più ingannare».

Annalina Grasso

Autore