Agli occhi di quei pochi cattolici che fin dall’inizio non hanno accettato il pontificato di Francesco, quello dell’emerito è diventato un magistero parallelo che viene diffuso per via mediatica e social media. Questo costituisce, a lungo termine, un enigma per storici e teologi, che dovranno capire quando il pontificato di Benedetto è finito effettivamente – pur essendosi concluso canonicamente il 28 febbraio 2013 alle 20 ora di Roma. Ma questi incidenti vanno oltre le mura vaticane e i confini invisibili della virtualizzazione del cattolicesimo nei media e nei social media, e ha conseguenze pratiche. Il simbolismo dell’emerito che si ritirava in un monastero in Vaticano non ha mai significato molto per quei cattolici per i quali Benedetto XVI non si è mai ritirato veramente. Questa dell’istituzione dell’emerito è chiaramente una riforma sul tavolo di Papa Francesco, ma è qualcosa che sarà possibile affrontare soltanto quando legiferare non darà l’impressione di limitare un “emerito” vivente. Durante gli ultimi giorni di Giovanni Paolo II alcune decisioni importanti (specialmente nomine di vescovi) furono prese e annunciate in una situazione in cui il morente Karol Wojtyla era incapace di esercitare il suo ministero. Oggi presumiamo che l’emerito Joseph Ratzinger sia ancora in grado di prendere decisioni sul modo in cui viene usato il suo nome. Ma è difficile saperlo con certezza. Non solo non esiste ancora una legge della Chiesa relativa alla situazione creata da un Papa incapacitato per malattia. C’è da chiedersi se la chiesa cattolica non abbia bisogno anche di una legge sulla situazione creata da un “emerito” incapacitato. Benedetto XVI si dimise nel 2013 scegliendo un percorso diverso da quello di Giovanni Paolo II. Ma si potrebbe dire con Mark Twain: la storia non si ripete, ma fa rima.
Ratzinger e l’istituzione del Papa emerito, una riforma sul tavolo di Bergoglio
