ReBuild e ReArm, le due opportunità dell’Unione Euopea per diventare leader

Canada's Prime Minister Mark Carney, center, smiles as he stands with G7 leaders and outreach countries, international organizations and invited guests at the G7 Summit, Tuesday, June 17, 2025, in Kananaskis, Alberta. (Adrian Wyld/The Canadian Press via AP)

Come scrisse Giulio Andreotti nel 1956 in De Gasperi e il suo tempo: «l’Unione Europea e il Patto Atlantico costituiscono la grande piattaforma del nuovo corso della politica internazionale italiana». De Gasperi non vedeva contraddizione fra l’adesione italiana alla NATO e «lo schema di un accordo per la comunità di difesa europea» che della costituenda unione era il necessario completamento. E neppure De Gasperi vedeva contraddizione tra le nuove linee della politica estera italiana e la peculiare attenzione che lo Stato italiano riservava alla Città del Vaticano e al Pontefice, allora Pio XII.

Si tratta di vicende remote che tornano attuali oggi che il totalitarismo della Russia torna a minacciare le frontiere dell’Europa Unita. Dopo il tracollo del sistema geopolitico dell’URSS, e sull’onda delle nuove prospettive diffuse in Europa da Gorbačëv e da Yeltsin, l’Unione Europea attuò il «grande allargamento» verso Est. Il primo maggio 2004, otto paesi provenienti dal Patto di Varsavia entrarono a far parte dell’UE. Nel 2007 i Paesi membri sarebbero aumentati a 27. In controtendenza – dall’8 agosto 1999, quando Vladimir Putin divenne Primo ministro della Federazione Russa – iniziò il lento percorso di «Reconquista» della sfera di influenza ex-sovietica. Primo bersaglio del «nuovo Stalin» furono le nazioni che – pure resesi indipendenti – erano rimaste al di fuori del perimetro UE e del perimetro NATO: Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Armenia, Azerbaigian, Georgia e Moldavia.

Particolarmente tormentato sarebbe stato il destino dell’Ucraina, divenuta indipendente nel 1991, ma lacerata fra regioni filo-russe e regioni filo-occidentali. L’alternarsi di Governi di opposto orientamento sarebbe terminato con l’elezione di Volodymyr Zelensky il 20 maggio 2019 a Presidente dell’Ucraina. Anche quel Paese imboccò risolutamente la via che conduceva all’adesione all’UE e alla NATO. La Russia, non contenta di aver recuperato le testate nucleari dislocate in Ucraina, avrebbe rioccupato la Crimea (2014) – con il porto di Sebastopoli sede della flotta russa del Mediterraneo – e poi le regioni del Donbass, attaccando militarmente l’intero territorio ucraino nel febbraio del 2022 allo scopo di sovvertirne l’ordinamento e l’indirizzo politico.

Di fronte a questa drammatica emergenza le beghe fra le diverse «famiglie politiche» europee sono diventate anacronistiche sia all’interno dei singoli Stati sia nel Parlamento di Strasburgo. Pericolosi sono gli orientamenti anti-americani (e filo-russi) di destra e di sinistra presenti sia nelle società sia in settori delle forze armate di diversi paesi dell’UE. Per fortuna – con il programma «ReArm Europe» e con la conferenza «ReBuild Ukraine 2025», in svolgimento all’EUR – stiamo assistendo ad un cambio di passo che porta le nazioni europee di nuovo in quel punto in cui Winston Churchill era pervenuto ai tempi della cosiddetta «Unthinkable Operation» (1945).

Churchill era preoccupato che la riduzione delle forze di supporto degli USA – concentrati sul teatro dell’Indo-Pacifico – avrebbe lasciato i Russi in una posizione di vantaggio nei confronti degli Alleati per intraprendere un’azione offensiva in Europa orientale. La NATO e la «Guerra Fredda» furono la risposta ai Russi nel secolo passato. Oggi occorre ridefinire i compiti dell’Alleanza atlantica e soprattutto dare una leadership di peso, solidità militare e coesione interna ad una Unione Europea politicamente federata.