“C’eravamo tanto amati” per oltre dieci anni, e ora si sono lasciati per un mancato posto nell’assemblea regionale pugliese. I versi della celebre canzone descrivono bene il rapporto che legava Michele Emiliano e Antonio Decaro: vicende che accadono nei rapporti umani, ancor più in quelli politici. Non è la prima volta e non sarà l’ultima.
Con la candidatura di Antonio Decaro alla presidenza della Regione Puglia, l’ingresso di Nichi Vendola come consigliere regionale e l’esclusione di Emiliano dalle liste del Partito democratico, si è chiuso un lungo psicodramma politico durato mesi. Tutti felici e contenti? Nient’affatto. A Emiliano resta l’onta e non perdona chi ha ordito la trama per estrometterlo. A bloccarlo è stato proprio Decaro, deciso a evitare la candidatura sia sua sia di Vendola: due figure ingombranti che, a suo parere, avrebbero condizionato pesantemente il lavoro dell’assemblea e del governo regionale. Alla fine, l’ex sindaco di Bari e la segretaria del Pd sono saliti sul palco della Festa dell’Unità a Bisceglie, sancendo ufficialmente la candidatura di Decaro. Vendola, però, l’ha spuntata grazie al sostegno di Fratoianni e Bonelli, la “coppia di fatto” della sinistra ecologista.
Decaro-Emiliano, odio e voti
Una vicenda singolare: a Taranto, durante l’inchiesta Ilva, Vendola fu indagato e il suo accusatore più duro fu proprio Bonelli, che oggi invece ne ha difeso con convinzione la candidatura. Al loro fianco si sono schierati in molti, tra cui Goffredo Bettini, che ha ricordato a Decaro come Vendola appartenesse a una “razza politica” diversa, ma pur sempre parte del cosiddetto campo largo. Per Emiliano, invece, non vale il verso della canzone napoletana citata da Togliatti a proposito di Vittorini: “Se ne ghiuto e ‘nce ha lassato sulo…”. Non è il caso. Forte di un largo consenso, l’ex presidente continuerà a giocare la sua partita. L’impegno preso è di non candidarsi ora, in cambio della promessa di una candidatura in Parlamento alle politiche del 2027. Anche la presenza di Vendola in consiglio regionale appare destinata a essere temporanea. Emiliano potrebbe guidare la campagna con la lista civica “Con”, affidata un anno fa al suo fedelissimo Alessandro Delli Noci. Potrebbe chiamare a raccolta amici e simpatizzanti per eleggere il maggior numero possibile di consiglieri. Resta da capire se Decaro accetterebbe o meno di includere la lista nella coalizione: la presenza diretta di Emiliano lo avrebbe limitato, ma la lista potrebbe garantirgli una preziosa dote di voti. Sarà comunque una sfida all’ultimo voto. Elly Schlein, che ha vissuto con difficoltà le esitazioni di Decaro, punta ora a rafforzarsi con la di lui elezione.
La Puglia è stata l’ultima regione a indicare il candidato presidente, al termine di un percorso più travagliato rispetto alle altre cinque. Alla fine, però, il campo largo si è ricomposto, mentre la destra resta divisa sia in Puglia sia in Veneto. Il quadro restituisce un bipolarismo netto, pronto a misurarsi nelle urne. Stavolta senza convitati di pietra: il Movimento 5 Stelle è parte integrante della coalizione di centrosinistra e la competizione torna a essere un revival dei due poli.
I tre candidati da Strasburgo
Colpisce, infine, un altro dato: dei sei candidati presidenti scelti dal Pd, tre provengono da Strasburgo – Decaro in Puglia, Ricci nelle Marche e Tridico in Calabria – tutti rientrati dalle istituzioni europee per puntare sulla politica regionale. Una scelta che sa di cultura provinciale e che apre interrogativi sul rapporto tra Europa e territori. Non è solo la Puglia a vivere una dialettica serrata e vivace. In tutte le regioni al voto il dibattito è diventato incandescente, con una conflittualità interna mai vista prima. La novità è che il confronto non si gioca soltanto tra destra e sinistra, ma anche dentro le stesse coalizioni, dove vecchi equilibri si incrinano e nuove leadership cercano spazio. Le regioni, inaspettatamente, sono balzate al centro del dibattito nazionale, oscurando i partiti tradizionali e i vertici romani. I presidenti uscenti sono diventati i protagonisti assoluti. La politica nazionale è entrata in un cono d’ombra, mentre i governatori hanno conquistato uno spazio pubblico enorme, soprattutto sui media. La piramide gerarchica si è capovolta, complice l’assenza dei partiti, che un tempo selezionavano la classe dirigente.
Un paradosso, se si pensa che per anni i presidenti regionali venivano tacciati come “cacicchi” e “capibastone”: definizioni contro cui la stessa Schlein aveva costruito parte della sua campagna congressuale. In Puglia, però, nei dieci anni di governo Emiliano, il potere è rimasto incontrastato, senza un’opposizione capace di far vedere “i sorci verdi”.
