Regionali Puglia, sfida per la (r)esistenza sotto la nuvola di Taranto: chi vince dovrà dire se intende subire gli eventi o guidarli

L’eutanasia di una città siderurgica del Mezzogiorno d’Italia. Taranto è bloccata e isolata dal resto della Puglia e della Penisola. La misura è colma. Gli operai dell’acciaieria sono scesi in sciopero davanti a un governo sordo alle istanze sindacali.

Taranto è l’antifona di un processo di deindustrializzazione che coinvolge acciaio e automotive. Le crisi di Acciaierie d’Italia e di Stellantis sono il frutto di governi privi di una politica industriale e di una visione d’insieme, rifugiatisi nel turismo e nei servizi come panacea universale. I sindacati metalmeccanici da anni suonano il campanello d’allarme, ma gli esecutivi che si sono susseguiti hanno risposto con politiche di mance: toppe peggiori del buco. Oggi il cerino acceso è nelle mani del governo Meloni. Il ministro del Mimit, Adolfo Urso, ha fatto ciò che ha potuto — e male — e ormai non è più farina del suo sacco. Dovrebbe intervenire Giorgia Meloni in prima persona, ma è impegnata altrove. Eppure sarebbe proprio la presidente del Consiglio a dover smuovere le acque a Bruxelles: la siderurgia europea è sotto una concorrenza spietata dell’acciaio cinese a prezzi stracciati, mentre negli Usa — anche grazie al suo amico Donald Trump — l’acciaio europeo trova sbarramenti tariffari.

L’Italia da sola non può superare questa crisi. Serve l’intervento dell’Unione Europea. Altrimenti, la siderurgia rischia un sommovimento sociale enorme, impossibile da curare con un’aspirina quando il malato ha il cancro. Il governo deve decidersi: lasciare morire il paziente o provare a guarirlo. La Puglia corre un rischio concreto: che alle urne prevalga il non voto. Taranto sarà l’epicentro dell’astensionismo.
Un male che si combatte con un solo antidoto: andare a votare per non cadere nel qualunquismo e nella rivolta inconcludente. Il fenomeno non è nuovo, ma negli ultimi anni si è aggravato fino a diventare nazionale. E questa campagna elettorale non aiuta: molti pugliesi considerano il risultato scontato. Il prossimo presidente non potrà limitarsi ad amministrare: dovrà lanciare una sfida riformatrice, senza scomunicare il passato. È il momento di ricucire gli strappi e restituire alla regione una strategia di sviluppo che leghi industria, turismo, agricoltura avanzata, logistica e ricerca.

La sfida è enorme: Taranto è il suo simbolo più drammatico. Non basteranno slogan: serve una politica industriale vera, che metta Taranto al centro di un nuovo modello produttivo basato sulla transizione energetica e su filiere capaci di creare lavoro stabile, non assistenzialismo. Il nuovo presidente dovrà dire chiaramente se la Puglia intende subire gli eventi o guidarli; se vuole essere spettatrice della fuga delle imprese o protagonista. Le urne del 23 e 24 novembre non decideranno solo un presidente: decideranno se la Puglia avrà la forza di diventare finalmente una regione compiuta, con Taranto con la siderurgia de carbonizzata. E questa volta nessuno potrà dire di non aver capito ciò che è in gioco.