Giovanni Manildo sfida a viso aperto Alberto Stefani. L’ex sindaco di Treviso punta sul campo larghissimo, dai moderati ai massimalisti, per sperare nell’impresa: strappare il Veneto al centrodestra.
Subito dopo l’accordo per la sua candidatura a presidente, lei ha definito la coalizione che la sostiene «un campo larghissimo, nel quale piantare una tenda riformista». La tenda regge ai venti di sinistra?
«Non si affronta una spedizione così ambiziosa senza prepararsi bene. L’ho sempre detto: provare a lanciare la sfida per il Veneto è come scalare l’Everest. Serviva l’apporto di tutti: della sinistra progressista ed ecologista, del centro riformista, dei liberali e dei socialisti, dei movimenti e delle formazioni civiche. E ci siamo riusciti, il che è un primo grande risultato. Oggi abbiamo l’alleanza più forte di sempre. Non per un patto di potere, ma per una precisa intesa sulle priorità di governo. A partire da sanità, lavoro, sviluppo, giovani e sostenibilità “intelligente”. La forza del nostro campo è proprio nella sua pluralità: una squadra ampia, capace di unire competenze e sensibilità diverse intorno a un’idea concreta di futuro».
Il piano sanitario regionale è scaduto da oltre un anno. Il Veneto resta tra le Regioni virtuose, ma accusa problemi sulla medicina territoriale, sulle liste d’attesa e sul personale sanitario. C’è poi il tema del sociale.
«Sanità e sociale sono i due pilastri del nostro progetto. Oggi il cittadino trova liste d’attesa infinite, medici di base introvabili, pronto soccorso al collasso. Noi proponiamo un piano straordinario di assunzioni, la riorganizzazione dei distretti e la riduzione dei tempi di attesa con una rete territoriale più forte. Sul sociale va colmata una lacuna enorme: il Veneto è l’unica Regione che non ha ancora riformato le IPAB. Vanno rinnovate, insieme all’housing sociale e al cohousing per gli anziani. E accanto al benessere fisico serve investire nel benessere mentale: sportelli di ascolto e psicologi di comunità nelle scuole e nei quartieri. Il nostro bilancio regionale sarà costruito attorno al rilancio di sanità e benessere».
La Regione invecchia e fatica a trattenere i giovani. Quale modello di sviluppo proponete?
«Se i giovani se ne vanno è perché non trovano prospettive di lavoro, casa e qualità della vita. Noi rispondiamo con un grande piano casa per giovani e lavoratori, il contratto d’ingresso che integra gli stipendi nei primi anni, agevolazioni sul trasporto pubblico e asili nido verso la gratuità. È una strategia integrata che unisce sostegno economico e servizi. Solo migliorando la qualità della vita le famiglie torneranno a scegliere il Veneto per costruire il proprio futuro».
I dati dicono che non nascono più microimprese. Come rilanciare la cultura d’impresa senza nostalgie del passato?
«La Regione deve tornare protagonista, non spettatrice. Dopo 15 anni di governo della stessa parte politica, manca una visione industriale. Noi vogliamo un nuovo patto per lo sviluppo, con meno burocrazia, più collaborazione tra imprese, università e centri di ricerca, e un fondo regionale per innovazione e digitalizzazione. Serve anche sostenere la transizione ecologica, le comunità energetiche, l’autoimprenditorialità giovanile. Lo sviluppo nasce dal dialogo e dalla capacità di fare sistema».
Le imprese e i cittadini hanno bisogno di infrastrutture. Quali sono le priorità?
«L’infrastruttura chiave per noi è il sistema ferroviario metropolitano regionale: una rete su ferro moderna e capillare che colleghi città, distretti, università e aree interne. È una visione che la Lega ha cancellato, ma che noi vogliamo rilanciare. Accanto al ferro, investiremo su banda larga e innovazione digitale, per valorizzare un Veneto policentrico, connesso e sostenibile».
La Pianura Padana è tra le aree più inquinate d’Europa. Il Veneto produttivo può conciliarsi con la sostenibilità ambientale o dobbiamo scegliere tra lavoro e salute?
«Non c’è contraddizione: l’economia verde è una leva di sviluppo. Puntiamo a 1 kilowatt per abitante, 5 gigawatt da rinnovabili entro il 2030, stop al consumo di suolo e rigenerazione urbana. Sullo scandalo PFAS le responsabilità sono enormi: servono bonifiche e controlli veri. La sostenibilità è una questione di giustizia intergenerazionale ma anche di competitività economica».
Lei ha detto che, se anche non dovesse vincere, sarebbe comunque l’inizio di un nuovo percorso politico in Veneto. Basta che non sia più Zaia?
«Il tema non è Zaia sì o Zaia no. È il Veneto. Quella del terzo (anzi, quarto) mandato di Zaia, della sua lista, del suo nome, è una telenovela che lasciamo al centrodestra, e che ha stancato chi lavora. Il tema è il futuro: la necessità di cambiare passo e di rimettere al centro le persone. Dopo trent’anni di potere della stessa parte politica, il sistema si è logorato. L’onorevole Stefani oggi pretende di presentarsi come l’erede di Zaia, ma anche come una novità. Non funziona così! Perché se su tanti fronti – sanità, sociale, ambiente, giovani – devi invocare un cambio di passo, vuol dire che la Regione si era fermata. Se bisogna svoltare, vuol dire che serve cambiare guida e direzione. Per questo dico che è il momento di un Veneto che torni a creare futuro».
