Verso le elezioni
Regionali Veneto, ora il Pd teme la disfatta: “Dobbiamo cambiare strategia”. Il contenitore centrista può aiutare Manildo
Il voto nelle Marche certifica la tenuta del centrodestra, ma Lega e FdI devono trovare l’intesa sul dopo-Zaia. Nel centrosinistra si accelera per una lista del presidente
Il verdetto delle Marche è impietoso per il campo largo. Un risultato che nel quartier generale veneto del centrosinistra risuona come una doccia fredda sulle già deboli ambizioni di conquista del fortino “zaiano”. “Dobbiamo cambiare strategia, e in fretta – ammette una fonte qualificata del centrosinistra veneto che preferisce restare anonima – Forse è meglio concentrarci sullo scenario di perdere meglio possibile”. La débâcle marchigiana, con un’affluenza crollata al 50,01%, quasi dieci punti in meno del 2020, certifica il fallimento della formula del campo largo tutto spostato a sinistra. In Veneto, dove il centrodestra governa ininterrottamente dal 1995 e dove Luca Zaia mantiene un gradimento del 66%, l’imperativo diventa contenere il danno.
La svolta moderata di Manildo
Giovanni Manildo, ex sindaco di Treviso e ora candidato del centrosinistra, ha già captato i segnali. Non a caso, fonti a lui vicine riferiscono che si sta tornando a riflettere in fretta a una “lista del presidente” per intercettare quell’elettorato moderato e riformista che mal digerisce l’alleanza organica con il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra. Azione di Carlo Calenda stava pensando di dar vita a una propria lista, seppur senza il simbolo del partito. Italia Viva aveva messo sul tavolo la proposta della “Casa Riformista”. Ma entrambe hanno saggiamente atteso l’esito delle Marche prima di decidere. Riunioni decisive fissate tra mercoledì e giovedì. Ora la strada è tracciata: serve un contenitore centrista che permetta ai moderati di votare Manildo senza sentirsi parte del campo largo. “Il modello tutto a sinistra non funziona in una Regione come il Veneto”, ragiona un dirigente dem di lungo corso. È necessario parlare a imprenditori, professionisti, ceto medio produttivo. Gente che con Zaia si è trovata bene ma che potrebbe essere disponibile al dialogo se non viene spaventata con derive massimaliste.
Il monito per il centrodestra: uniti o si perde
Se la vittoria nelle Marche rafforza la coalizione di governo, lancia anche un avvertimento chiaro a Lega e Fratelli d’Italia: guai a sprecare il vantaggio con liti intestine. Il caso marchigiano dimostra che quando il centrodestra si presenta compatto vince, e vince bene. Alberto Stefani resta il candidato in pole della Lega, ma l’accordo con Fratelli d’Italia non è ancora definitivo. Il partito di Giorgia Meloni, forte del 37,58% ottenuto alle europee in Veneto contro il 13,15% del Carroccio, non molla la presa. I nomi di Luca De Carlo ed Elena Donazzan restano sul tavolo. “Dopo le Marche è chiaro che dobbiamo chiudere in fretta – confida un esponente veneto di FdI – Ma serve una contropartita seria, non possiamo sempre fare da stampella alla Lega in Veneto senza avere in cambio nulla. I numeri contano”.
Il rebus Zaia: capolista sì o no?
L’altra grande incognita riguarda il ruolo di Luca Zaia. La sua ventilata candidatura come capolista della Lega presenta più rischi che benefici. Con la regola che impedisce di esprimere due preferenze per candidati dello stesso sesso, la presenza del Doge in lista penalizzerebbe altri big del partito, tutti uomini, e potrebbe lasciare per strada un po’ del consenso meno “politico”. Ma soprattutto c’è il nodo della “Lista Zaia”. L’ipotesi di una lista del presidente uscente è indigesta a tutti i partiti della coalizione perché, come sussurra un consigliere della maggioranza, “significherebbe consegnare a Zaia le chiavi del regno anche dopo che ha lasciato Palazzo Balbi. I partiti diventerebbero comprimari”. La Lega spinge per utilizzare il brand Zaia, consapevole che senza il suo traino elettorale i numeri del Carroccio potrebbero comportare rischi. Ma Fratelli d’Italia e Forza Italia vogliono garanzie: la successione deve essere gestita collegialmente, non può diventare un’operazione di palazzo orchestrata dal governatore uscente.
La lezione delle Marche
Il crollo dell’affluenza nelle Marche è un campanello d’allarme per tutti. In Veneto, dove tradizionalmente si vota di più, il rischio astensione potrebbe giocare brutti scherzi. Se l’elettorato moderato del centrodestra, orfano di Zaia, decidesse di restare a casa, gli equilibri potrebbero cambiare. Per questo Manildo sta lavorando a una campagna che punti sui temi concreti: sanità, trasporti, ambiente. “A questo punto dobbiamo evitare la nazionalizzazione del voto – spiega un probabile candidato – Diciamocelo chiaramente: le Marche insegnano che quando si trasforma un’elezione locale in referendum su Meloni, il centrodestra vince”. Il 23 e 24 novembre i veneti saranno chiamati alle urne. Due mesi per definire candidature, liste, alleanze. Il centrodestra parte favorito ma deve trovare l’unità. Il centrosinistra sa di non poter vincere ma può provare a limitare i danni puntando sui moderati. In mezzo, quell’elettorato fluttuante che ha votato Zaia per 15 anni e ora cerca una nuova casa. Chi riuscirà a intercettarlo farà la differenza e potrebbe aprire uno scenario nazionale che, tra i due schieramenti, forse solo Forza Italia in questo momento è pronto ad interpretare.
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