Un posto nel governo, o in Europa. O addirittura una presidenza di peso in una società di Stato. Tutte soluzioni che però richiederebbero sacrifici altrui e intese complesse. “Mica possiamo farlo Papa”, dice con un po’ di disperazione un parlamentare veneto di centrodestra. Il destino di Luca Zaia continua ad essere la questione cruciale. Da parte sua, non ha usato giri di parole per manifestare malcontento: “Se sono un problema, vedrò di renderlo reale”. Il governatore uscente, che ha dominato la politica veneta dal 2010 con percentuali bulgare (il 76,7% nel 2020), si trova ora costretto ai margini da veti incrociati tra Lega e Fratelli d’Italia. Prima è sparita la possibilità di una lista civica a suo nome, quella che cinque anni fa raccolse il 44,57% e 23 seggi. Poi è arrivato il veto sul suo nome accanto al simbolo della Lega. Un ridimensionamento frutto degli accordi romani per blindare la candidatura di Alberto Stefani.
Il Doge non intende sparire di scena
Il giovane deputato leghista, 32 anni, è stato scelto come candidato unitario del centrodestra dopo mesi di stallo. Ma Zaia non ci sta. I maxi manifesti da sei metri per tre apparsi in tutte le province venete con la scritta “Veneto, sempre! L’impegno continua” sono un chiaro messaggio: il Doge non intende sparire dalla scena. E le sue dichiarazioni (“Per molti la campagna elettorale sarà purificatoria”) suonano come una minaccia neppure tanto velata agli alleati. Il rischio per Stefani è duplice. Da un lato deve gestire l’ingombrante presenza di Zaia, dall’altro deve fare i conti con malumori interni alla coalizione: Fratelli d’Italia ha già fatto sapere di avere pronta una rosa di nomi per la futura Giunta, alzando il livello delle pretese.
Il campo extra large di Manildo
Dall’altra parte, Giovanni Manildo prova a ribaltare trent’anni di dominio del centrodestra puntando su un’alleanza “più larga della storia del centrosinistra veneto”. L’ex sindaco di Treviso, 56 anni, avvocato di estrazione cattolico-progressista, ha costruito una coalizione che spazia da Rifondazione Comunista ai riformisti di Italia Viva, passando per Pd, M5S, Avs, Volt Europa e le civiche territoriali. Ma il colpo a sorpresa l’ha messo a segno l’11 ottobre con la presentazione della lista “Uniti per Manildo”, che riunisce Casa Riformista, l’area liberaldemocratica ispirata all’Alde e i socialisti. In Toscana una lista del tutto simile – che riuniva Italia Viva, +Europa, Psi e Pri – ha dimostrato che esiste uno spazio elettorale per i moderati progressisti. Quattro i consiglieri regionali eletti, tra cui la vicepresidente uscente Stefania Saccardi di Italia Viva. “Oggi la nostra squadra si allarga ancora e si rafforza al centro“, ha dichiarato Manildo. “Qui c’è il centro, ci sono i liberali, i riformisti, i pragmatici. Le forze migliori con cui costruire quell’agenda dello sviluppo che le associazioni di categoria ci chiedono”. Una chiara scelta di campo, che però nasconde un’insidia: come tenere insieme anime così distanti?
La chiusura delle candidature nella lista riformista rappresenta per Manildo un tassello fondamentale della strategia. Riportare l’asse della coalizione verso il centro è ormai un’urgenza, soprattutto dopo l’ingresso in coalizione di Rifondazione Comunista con la lista “Pace Salute Lavoro”, completa di falce e martello. Il problema per l’ex sindaco di Treviso è che la sua coalizione rischia di apparire come un’insalata russa incapace di parlare con una voce sola. Mentre lui cerca di intercettare l’elettorato moderato deluso dal centrodestra, parte della sua coalizione – in particolare la lista civica “Le Civiche Venete” – conduce una campagna molto più spostata a sinistra, con tanto di bandiere palestinesi sventolate negli incontri pubblici.
E qualche accento di intolleranza interna alla coalizione si coglie nelle parole – neppure tanto velatamente polemiche – affidate ai social da Arturo Lorenzoni, candidato presidente cinque anni fa e oggi riferimento civico: “Sono state presentate ieri due liste di partiti a sostegno di Manildo. Ottima notizia. È interessante che entrambe vogliano aspirare a rappresentare il mondo civico, che si è unito invece intorno alla nostra lista Le Civiche Venete. Fare politica nei partiti è sacrosanto, ma è un’altra cosa rispetto al civismo”.
La sfida di Manildo è dunque doppia: da un lato deve dimostrare che il “campo larghissimo” può funzionare, dall’altro deve evitare che la presenza di componenti radicali finisca per far perdere credibilità alla sua offerta politica presso l’elettorato moderato. Il successo toscano di Casa Riformista indica una strada, ma il Veneto resta una Regione dove il centrodestra ha costruito nel tempo un’egemonia profonda.
