Di sicuro i 209 miliardi del Recovery Fund. Probabilmente quelli del Mes. E poi una marea di norme finalizzate a stimolare l’economia martoriata dall’emergenza Covid. Non c’è che dire, all’orizzonte della Campania e del resto del Mezzogiorno si stagliano sostanziose risorse economiche e notevoli opportunità di sviluppo. La svolta per la società meridionale potrebbe essere dietro l’angolo e, in questo contesto, le Regioni sembrano destinate a giocare un ruolo decisivo. Eppure questo tema non desta particolare interesse. Nemmeno quello delle varie forze politiche che, il 20 e 21 settembre, si contenderanno la guida della Campania. Per capirlo basta analizzare le strategie elettorali. Partiamo dal centrodestra. Il candidato governatore Stefano Caldoro ha lanciato il suo programma attraverso una piattaforma che dovrebbe consentire a tutti di contribuire al suo sviluppo. Iniziativa lodevole, ma rivelatrice della solitudine dell’ex ministro. Sulle sue spalle, infatti, Caldoro porta tutto il peso dell’opposizione a Vincenzo De Luca e del tentativo di costruire una visione d’insieme per la Campania a guida centrodestra. Tenta di colmare le falle nella carena di una nave che ha imbarcato acqua per mesi, dividendosi sul nome dell’aspirante governatore prima e sui candidati da inserire nelle liste poi. Il tutto nel sostanziale disinteresse di Fi che, in un primo momento, aveva pensato di proporre come capolista il leader nazionale Silvio Berlusconi, salvo poi ripiegare sul consigliere regionale uscente Ermanno Russo. Di un ragionamento sul ruolo delle Regioni nel prossimo futuro, però, non c’è traccia. Il Movimento Cinque Stelle ha deciso di non cambiare strada. E quindi via alla solita campagna elettorale scandalistica, inaugurata con la falsa notizia del commissariamento dell’Asl Napoli 1 e proseguita con la polemica sui venti milioni di euro che De Luca avrebbe regalato alla sanità privata. Dalla candidata Valeria Ciarambino e dai suoi fedelissimi, però, nessun ragionamento sul destino che attende le Regioni. Ed è ancora più grave che su questo tema non si siano espressi De Luca e il Partito democratico che, rispettivamente da governatore e da partito di governo, hanno affrontato l’emergenza Covid confrontandosi quotidianamente con i limiti del modello di regionalismo accolto nel nostro Paese. Eppure una riflessione sul ruolo delle Regioni andrebbe fatta. L’emergenza sanitaria e la successiva crisi economica hanno evidenziato le disfunzioni del regionalismo italiano, messo in crisi da governatori abituati a procedere in ordine sparso e un governo centrale incapace di trovare una sintesi che non fosse utile soltanto ad alimentare il marasma generale. Insomma, la domanda è semplice: l’Italia va verso uno “Stato regionale”, in cui è pur sempre Roma a tenere in mano le redini della politica nazionale, o verso “Regioni-Stato”, titolari di poteri sempre più consistenti? Interrogativo non banale, soprattutto se si considera che l’Europa ha assegnato al Paese risorse consistenti, attraverso il Recovery Fund, alle quali potrebbero aggiungersi quelle del Mes. I candidati alla guida di Palazzo Santa Lucia hanno idea di come andranno spesi i miliardi già assegnati? Hanno messo a fuoco gli obiettivi da perseguire prioritariamente sfruttando una mole di risorse mai vista prima? Hanno definito una strategia per evitare che anche i soldi del Recovery Fund restino inutilizzati per poi essere disimpegnati, come troppo spesso è avvenuto con i fondi della programmazione europea ordinaria? A queste domande bisogna dare una risposta convincente. A imporlo è il futuro della Campania.
Regione Campania, una campagna elettorale surreale: soldi e opportunità ma tutti parlano d’altro
