Renzi attacca Conte, basta decreti-saghe

È stato quasi un déjà-vu. L’informativa del presidente del Consiglio sul Coronavirus avvenuta ieri in Senato ha come riavvolto i nastri e trasmesso spezzoni di un vecchio film: Giuseppe Conte che parla, elegante e felpato, di unità e sacrifici, Matteo Renzi che dice di sostenerlo tra mille sanguinosi distinguo, Matteo Salvini che spara cannonate e perfino la rissa (verbale) tra grillini e leghisti. Ma stavolta era tutto più cupo: l’aula semi-deserta, i senatori intristiti e ben distanziati, un Pierferdinando Casini mascherato mandava messaggini digitando lentamente con un guanto di lattice. È il Senato al tempo del Coronavirus. Probabilmente il premier Conte avrà provato nostalgia per quelle sue solitarie dirette Facebook che sono ormai diventate un genere fiction.

E invece stavolta ha dovuto rendere conto a un pubblico esigente e pure dotato di replica, con Mario Draghi convitato di pietra. L’ex presidente della Bce, già da tempo papabile premier di un governo d’unità nazionale, con la lettera al Financial Times in cui ha invocato il ricorso al debito pubblico e l’iniezione immediata di liquidità per contrastare l’emergenza Coronavirus, si è guadagnato lo status di Messia. È anche per allontanare il suo fantasma che ieri Conte ha cercato di vestire i panni dello statista, chiamando in causa pure i partiti di opposizione, finora molto critici con l’operato del governo.

Nel suo discorso il premier ha rivendicato la velocità della reazione italiana al virus e annunciato un prossimo decreto economico che porterà a «non meno di 50 miliardi» la somma totale elargita a «famiglie, imprese e lavoratori». Per poi insistere sulla sua battaglia nel tavolo europeo: «lo strumento del Covid-bond», una mega emissione di titoli valida come debito europeo e non di un singolo Paese. Sul “rivale” Draghi il premier, lasciando l’aula, si lancia in un «siamo in sintonia, serve uno shock». Ma la fine del discorso “pubblico” è sul virus, «invisibile come il vento» e sull’«orgoglio di appartenere a una comunità di rara forza e bellezza». Di bellezza parla a modo suo Renzi, che accosta Enea con in braccio il padre Anchise all’Italia che difende i propri nonni.

Il leader di Italia Viva, nell’aiuto-assalto a Conte, assolda l’Alessandro Manzoni del capitolo sulla peste: «Il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune». L’ex premier, fautore di una sorta di riformismo nella pandemia, dice che «non vuole morire di Coronavirus ma neanche di fame» e cita come modello Draghi ma anche Trump, «che ha messo in campo 2000 miliardi». Renzi invoca «un unico decreto, basta saghe» e prevede che i 50 miliardi «non basteranno». Poi chiede di istituire una commissione sul Coronavirus, probabilmente per inchiodare le eventuali responsabilità dell’esecutivo, e di riaprire le librerie, che «curano l’anima». Non di libri e anime parla Salvini, la mascherina calata sul completo blu, il look che ricorda lo stato di guerra.

Il leader della Lega, fa l’insofferente leader del Nord quando elenca i tanti dispositivi respiratori e mascherine, richiesti da Lombardia e Veneto al governo e che ancora non sono arrivati. Nel suo discorso “Roma”, citata spessissimo, è lenta e distante dai problemi reali. Anche lui assolda Draghi «è caduto il mito del non si può fare debito, c’è bisogno anche del suo aiuto».

Salvini loda le iniziative economiche anti-virus di Trump e Regno Unito ma attacca la Cina, che in molti danno politicamente molto vicina a Conte (e Luigi Di Maio): «Se sapeva dell’epidemia e ha taciuto, ha compiuto un crimine contro l’umanità». E propone che il 70% dello stipendio dei medici sia reso esentasse. Il leader leghista non esclude la sollevazione di popolo, ma per un attimo fa il collaborativo: «Subito liquidità. Dico al governo che se ci vuole collaborativi bene, ma ci ascolti».

Al Salvini “collaborativo” non crede il M5S se il suo capogruppo, il capelluto Gianluca Perilli, lo definisce un «monumento all’incoerenza». Scoppia una rissa, sedata dalla presidente Elisabetta Casellati con un surreale «tenete le mascherine e non urlate». Su una cosa Lega e Movimento sono d’accordo, il Mes, ritenuto non una fonte di sostegno economico ma un incubo. Altro momento dèjà-vu.