Reportage da Leopoli, così la vita va avanti sotto i bombardamenti

Leopoli-Lviv, cuore della Galizia: 10 ottobre 2022, primo mattino. Un boato sordo, attutito, mi riporta bruscamente alla realtà: è la prima volta che veniamo bombardati, dacché ho riaperto l’Istituto Italiano di Cultura a metà luglio. Questa vivace città mitteleuropea ospita istituzioni culturali di prim’ordine, fra cui lo stupendo Teatro dell’Opera e del Balletto. Botti cacofonici, urticanti spargono il terrore. Oggi il sole splende, ignaro. Una nuvola oblunga che pare inchiostro macchia i batuffoli bianchi nel cielo azzurro.

È il fumo denso che s’innalza dalla centrale elettrica appena colpita. La sirena, lugubre, ci invita a recarci nei rifugi. Contatto veloce con i nostri carabinieri e l’Ambasciata a Kiev: situazione sotto controllo. Accidenti, ora salta tutto: internet, luce, acqua. Corro nel mio rifugio: un garage seminterrato ben protetto.  Pochi uomini, tante donne, con figli e nipoti, cagnolini e gatti. C’è il bimbo che pedala sul triciclo, nella penombra. Altri giocano col cagnolino o si rincorrono schiamazzando. Una bambina è vicino all’ingresso del garage, libro aperto in mano: lì c’è un fascio di luce. Le mamme parlottano, nervose. Il mondo è sottosopra, e questo visino da bambola, serio serio, è immerso nella lettura. La vita va avanti, nonostante i missili.

Che nulla – neppure l’errore più macroscopico dell’Occidente –giustifichi quest’orgia di violenza, questa brutale aggressione imperialistica, mi pare evidente. Ma può un socialista fermarsi qui? Non credo. Il dibattito italiano (o pseudo tale) si è sclerotizzato. Si viene accusati, a seconda dei casi, d’essere filo putiniani sotto mentite spoglie, o servi degli americani e della NATO.  Il richiamo della foresta italiana – l’eterna contesa fra Guelfi e Ghibellini – ha cristallizzato fazioni agguerrite.

Gli USA guidati da Biden stanno difendendo la libertà europea. Su questo non ci piove. E la NATO si riconferma uno strumento poderoso a tutela delle democrazie. Ma può un socialista limitarsi a ribadire queste ovvietà? No, non credo. Dobbiamo scervellarci, riflettere. Nessuna causa indiretta di un conflitto annulla o ridimensiona le responsabilità morali e politiche di chi l’ha scatenato: Putin è dotato di libero arbitrio. Tuttavia vi sono fattori tossici che l’hanno aizzato.

1) Sfera politica: la Russia è afflitta da un problema cronico: la successione al potere. Dal tracollo dell’URSS, i russi viaggiano su un crinale pericoloso. Putin è al governo da ben 22 anni e intende rimanerci! Questo problema riguarda anche noi: l’autoritarismo russo è tracimato. Viaggiando sulle fake news dei troll pilotati da Mosca, ha incantato parte delle opinioni pubbliche occidentali (Snyder, La paura e la ragione). In assenza di regole oggettive per la transizione pacifica, per il passaggio di consegne da un governo a un altro, cosa scaturisce come un fiotto Geyser? Il demiurgo che prende di petto il mondo, il profeta che salva la propria nazione dal baratro.

La democrazia liberale si regge su libere elezioni con scadenze definite per legge. Le monarchie costituzionali hanno un chiaro principio di successione: la Gran Bretagna ha gestito senza crisi il passaggio dal regno di Elisabetta a quello di suo figlio Carlo. Solo la legittimità del potere, che dipende dalla certezza dei criteri per la rotazione delle élites, garantisce la pace. Le guerre scoppiano quando una leadership autoritaria, abbarbicata al potere, rovescia i problemi interni al di fuori dei propri confini; e se il Leader-Messia raggiunge il Creatore, scoppiano le contese per la successione, prodromi di guerre civili.

2) Sfera culturale. Le ideologiche tossiche rilasciano spore che nutrono funghi velenosi. Pesa come un macigno la memoria del dispotismo asiatico nelle sue varie incarnazioni, da Pietro il Grande a Stalin.  Questo DNA culturale s’è innestato nello sciovinismo grande-russo.  Già Lenin, che pure non era uno stinco di santo, stigmatizzava questa eredità (il dispotismo, invece, gli andava a genio). Nell’intruglio russo c’è anche il rifiuto della modernità. È in corso una reazione zelota alla nostra civiltà, che è superiore a ogni autocrazia tradizionalista – (Luciano Pellicani, I nemici dell’Occidente).

Le esternazioni del Primate Kirill collimano con quelle di Putin. Entrambi fustigano l’Occidente corrotto, condannano la società aperta, fondata sulle libertà politiche e civili, denunciano l’omosessualità imperante, i diritti LGBT, lo sgretolarsi della famiglia tradizionale. Cavalli di Troia, questi, con cui l’Occidente invaderebbe la Russia.  Paranoie? Certo, ma… la civiltà occidentale ha una forza radioattiva che la rende minacciosa, disgregante. Di qui la reazione violenta dei fondamentalisti, religiosi e laico- fascistoidi: la modernità politica gli strappa di mano lo scettro.

3) Sfera economica. L’ingiustizia sociale, la povertà, gli squilibri nella distribuzione delle risorse: ecco l’acquitrino in cui proliferano le zanzare. Vogliamo debellare la malaria? Non basta spruzzare il DDT o cospargerci la pelle di creme repellenti. Occorre una bonifica in grande stile. Papa Francesco denuncia due piaghe: il terrorismo economico di coloro che adorano il Dio denaro e l’influsso malefico della lobby delle armi.

Se Putin avesse impiegato le plusvalenze del gas e del petrolio per spese sociali, anziché per armarsi fino ai denti, la sua gente starebbe meglio. Sarebbero rimaste irrisolte però le iniquità socioeconomiche a livello globale. Putin, che ha puntato tutto sulla cleptocrazia, su oligarchi ingordi, ha fallito anzitutto a livello economico. Ma l’Europa non è innocente: ci ha fatto affari d’oro, chiudendo entrambi gli occhi. Una delle cause “dell’operazione speciale” è economica: appropriarsi di terre fertili, miniere, giacimenti di gas, industrie, porti strategici. Cosa ha fatto questa Europa egoista e imbelle per integrare la Russia nel nostro spazio economico? Ci voleva assertività prima dell’annessione della Crimea, nel 2014: “vuoi commerciare con noi, Putin? Allora impegnati a investire nello sviluppo economico e sociale del tuo Paese”.

E che dire dell’America, nazione alleata e amica? Essa è anche una sorta di Giano bifronte: garante di libertà e benessere in Europa; patria di un capitalismo aggressivo, che produce squilibri e instabilità nel mondo. Non dimentichiamo la nostra ragion d’essere, il nostro marchio di fabbrica: la critica al capitalismo rapace. Dove nasce il terrorismo economico, se non dalla speculazione finanziaria imperante da decenni? Dove s’ingrassa la lobby delle armi, se non laddove il capitalismo agisce senza freni?  Nelle analisi di geopolitica la questione sociale è la grande Cenerentola. Eppure un certo capitalismo, quello sfrenato, bulimico, anti umanistico, è propiziatore di guerre.

Il nuovo ordine mondiale postbellico, insomma, non può essere solo politico- giuridico. Il cemento armato richiede un’armatura d’acciaio. I democratici puri, avendo abiurato il socialismo, sono miopi. Anche se l’Occidente imponesse con la forza delle armi un ordine globale fondato sulle sacrosante regole del diritto internazionale, e sul sacrosanto diritto all’autodeterminazione dei popoli, il magma sociale sottostante continuerebbe a ribollire. Un vulcano vivo, prima o poi, erutta lapilli e lava. Vi siete domandati perché metà mondo, dall’Africa, all’America latina, a parte dell’Asia, sta a guardare alla finestra questo conflitto?

Intendiamoci: la democrazia liberale è sacrosanta. Tuttavia senza giustizia sociale anche il miglior sistema democratico è un guscio vuoto.  Colse nel segno Martin Luther King: “l’ingiustizia che si verifica in un luogo, minaccia la giustizia ovunque nel mondo”.