Richard Millet: “Chi vuole boicottare Israele è un perfetto utile idiota di Hamas”

Richard Millet è uno dei grandi scrittori contemporanei. Letterato raffinato, melomane appassionato, polemista dalla penna acuminata, Millet conosce bene anche la realtà mediorientale. Dopo aver trascorso parte dell’infanzia nel Paese dei cedri, ha combattuto nella guerra civile del Libano come volontario in difesa dei cristiani contro i «palestinesi marxisti», fatto che ha poi trasfuso nel romanzo La confession négative. L’esperienza bellica lo ha avvicinato a Israele, a cui ha dedicato un libro, Israël depuis Beaufort. In questa intervista affronta la guerra a Israele, l’ascesa dell’Islam e l’agonia della società multiculturale.

Non possiamo che iniziare da quella che è stata chiamata «guerra dei dodici giorni» tra Israele e l’Iran. Come giudica il ruolo svolto dalla teocrazia iraniana in Medio Oriente?

«L’Iran è una delle tre maggiori fonti di disordine in Medio Oriente, seguita dalla Turchia, Paese ambiguo ma sempre più islamico, e dai Fratelli Musulmani, attivi praticamente ovunque, anche se braccati in Egitto, banditi in Giordania, ma sostenuti dal Qatar, altro Paese ambiguo, e attivi persino in Europa, dove infiltrano la vita quotidiana e persino la Commissione europea. I disturbatori sciiti e sunniti hanno trovato il loro punto di convergenza in Hamas. Il terremoto del 7 ottobre 2023 è stato l’occasione, per Israele, di cercare di porre fine non solo ad Hamas, ma anche agli Hezbollah libanesi e, logicamente, alla testa del serpente: l’Iran. In Occidente non c’era sufficiente consapevolezza sul pericolo rappresentato dalla teocrazia iraniana e dalle sue ramificazioni, in Algeria ad esempio».

In diversi suoi saggi e romanzi ha raccontato il Libano, compresa la sua esperienza di combattimento a fianco dei cristiani all’inizio della guerra civile a metà degli anni Settanta. Cosa rappresenta per lei quel Paese?

«Questo Paese multiconfessionale è innanzitutto il Paese della mia infanzia, dove ho imparato a conoscere chi era chi. Affermare che fosse, come si sosteneva negli anni ’60, la «Svizzera del Medio Oriente» era un luogo comune falsificante: era in realtà un Paese instabile e corrotto, dove gli americani erano intervenuti nel 1958 e dove la guerra civile era scoppiata nel 1975, a causa dei palestinesi che avevano armato il suo suolo grazie a Nasser e ai sovietici, e poco dopo all’Iran. La componente cristiana del Paese è ancora significativa, anche se i cristiani sono stati i grandi sconfitti della guerra civile del 1975-90. Oggi, però, il Paese non rappresenta più molto, mentre lo Stato libanese cerca di riconquistare la legittimità interna disarmando legalmente i campi palestinesi e, soprattutto, Hezbollah».

Si è mai chiesto come sarebbe stato il Medio Oriente, o almeno una parte di esso, se Bashir Gemayel non fosse stato assassinato e la guerra civile fosse stata vinta dalle forze cristiane?

«Ne parlo spesso con amici libanesi o ebrei: Gemayel è stato assassinato perché voleva fare la pace con Israele. Aveva cercato di dividere il Libano, limitandolo alla sua parte cristiana. Aveva persino un ufficio diplomatico della Falange cristiana a Gerusalemme. Il simbolismo era troppo forte, era nell’interesse di tutti che sparisse: dei palestinesi, dei musulmani libanesi (che sarebbero diventati Hezbollah), dei siriani, degli iraniani, dei russi e forse anche degli americani. Se la pace fosse stata firmata, Israele avrebbe avuto confini sicuri, tranne che sul Golan siriano, e l’economia libanese, che oggi va così male, sarebbe stata senza dubbio migliore».

Lei ha dedicato un libro a Israele, Israël depuis Beaufort. Leggendolo si percepisce che anche Israele e il popolo ebraico siano importanti per lei, come uomo e come scrittore. Dunque, non posso non chiederle: cosa significa per lei Israele?

«Israele rappresenta il coraggio e la forza, uniti a un grande sentimento nazionale: proprio ciò che è andato quasi del tutto perduto ed è diventato vergognoso nell’Europa occidentale. Per me, cattolico, Israele è anche il Paese che ha reso possibile l’Alleanza tra i due Testamenti. Quanto agli scrittori, ai filosofi e agli artisti di origine ebraica, essi sono parte del mio “nutrimento” quotidiano».

Gli occidentali, salvo quelli appena liberatisi dal dominio sovietico, hanno espunto la guerra dal loro orizzonte esistenziale e storico, così come si rivelano incapaci di comprendere la passioni religiose e le fantasie messianiche che animano il mondo musulmano. Quali sono le cause di questa «miopia» storico-politica?

«Questa miopia è dovuta alle illusioni economiche della pace e alle fantasie dell’Onu che hanno pervaso il Dopoguerra: non abbiamo visto che la pace era minacciata dall’immigrazione di massa, che non poteva essere integrata in Europa e quindi era distruttiva a breve termine. Il “tout-économique” è stato visto come una panacea, la “globalizzazione” e l’“umanità” sono diventate l’orizzonte ultimo. Possiamo vedere le devastazioni civili dell’immigrazione musulmana in Paesi come Francia, Gran Bretagna, Belgio, Paesi Bassi, Danimarca e Svezia, con la possibile eccezione dell’Italia e dei Paesi dell’ex blocco sovietico. Tutto questo contiene i semi della guerra civile… Poiché il politicamente corretto mira all’inclusione generale, consideriamo la guerra come qualcosa di esterno, lontano e incomprensibile. Non volevamo vedere quello che stava accadendo nell’ex Jugoslavia, che era una replica della guerra civile libanese, o quello che Putin stava facendo ai confini dell’ex URSS: in Georgia e poi in Ucraina».

Come giudica i «pacifisti» europei che vorrebbero disarmare l’Ucraina e boicottare Israele?

«Sono pecore che vogliono essere sgozzate dal macellaio: utili idioti manipolati dai russi e dai filopalestinesi – che comprendono tutti coloro che vogliono danneggiare l’Occidente attraverso un palestinismo isterico e, ovviamente, antisemita. Boicottare Israele significa, logicamente, sostenere Hamas, Hezbollah e i mullah iraniani, e quindi sperare che questo tipo di terrorismo si diffonda anche in Europa: non sto esagerando».

Lei è soprattutto uno scrittore: come si manifesta questa «fiacchezza» morale dell’Occidente nella letteratura?

«La letteratura europea non vede nulla, non sente nulla, non comprende nulla: l’autocensura generale, soprattutto in Francia, dove gli scrittori sono boicottati e dove la sorte di Sansal, per esempio, imprigionato dall’oligarchia militare algerina, è di scarso interesse, nonostante le dichiarazioni di principio. Lo scrittore europeo è diventato illeggibile, in un mondo che non vuole più leggere ma essere connesso».

Ultima domanda: come vede il futuro dell’Europa? E quello di Israele?

«Israele sta diventando la principale potenza del Medio Oriente, non solo grazie al suo genio militare, ma anche grazie agli Accordi di Abramo, che gli hanno permesso di fare pace con gli emirati del Golfo. Il prossimo passo sarà la pace con l’Arabia Saudita. L’Europa, dal canto suo, divisa, afflitta da nichilismo, narcisismo, pentimento, coscienza sporca, stupidità e contraddizioni, non è più granché né politicamente né culturalmente. Una megera che si trucca per cercare di stare in scena, ma che è insignificante».