Le tante anime belle che corrono a riconoscere lo Stato di Palestina (qualunque cosa voglia dire l’espressione), sono come quelli che entrano in un bar e chiedono a voce alta cappuccino con latte di soia e cornetto alla crema: puntano alla bella figura e nel frattempo si giocano la salute. E quando gli fai notare l’incongruenza della richiesta, aggiungono che – ci mancherebbe – loro sarebbero pure favorevoli a “due popoli e due Stati”. Cioè a una prospettiva che oggi, purtroppo, non esiste: la panacea per i mali del Medio Oriente – come quella per il diabete – ancora non è stata inventata.
Con le due sciape formulette, in questi giorni, schiere di governanti irresponsabili cercano di strizzare l’occhio alle opinioni pubbliche occidentali dalla lacrimuccia facile e, usando l’inutile megafono dell’ONU, fanno il possibile per essere risparmiati dai plotoni di esecuzione dei manifestanti globali, già schierati in forze contro l’orco Netanyahu e il suo sponsor Trump. Che poi “Stato di Palestina” e “Due popoli, due Stati” siano al momento solenni cazzate, interessa poco o niente a Macron, le cui ambizioni riformiste si sono tristemente arenate nell’inesorabile islamizzazione delle banlieues. E neppure interessa al Regno Unito di Starmer, ancora in cerca di un’autoassoluzione dopo i disastri combinati in Medio Oriente per decenni, dalla Dichiarazione Balfour fino all’abbandono del ’48, vera origine del caos attuale. Figuriamoci poi quanto interessi Gaza, e cosa sappiano di Medio Oriente i signori che governano l’Australia e il Canada, il cui obiettivo principale è prendere le distanze – meglio se in maniera innocua e senza pagare dazi (ops) – dagli USA di Trump.
Da questo diluvio di demagogia non si è fatto travolgere il governo italiano, che ieri con la Presidente del Consiglio ha annunciato una mozione in Parlamento per subordinare il riconoscimento della Palestina al rilascio degli ostaggi in mano ad Hamas, e alla ovvia esclusione dei terroristi da qualsiasi dinamica di governo dell’area. Una posizione ferma, equilibrata e di buonsenso, che apre concreti spazi di azione politica, in una strada che è strettissima per tutti. Giorgia Meloni avrebbe potuto essere partecipe della marea montante. Avrebbe potuto lisciare il pelo ai diffusissimi sentimenti di pietà per Gaza.
Non lo ha fatto. Non si è piegata, su un tema delicatissimo, al populismo compassionevole che regala applausi facili e consensi effimeri. Ha scelto di tenere ferma la barra, partire dalla verità dei fatti, differenziare le analisi. Sono comportamenti che fanno la differenza. Per usare termini in voga di questi tempi, Meloni non si sta comportando da follower ma da leader. Se vogliamo aggiungere una parola forte, sta agendo da statista. Dalle nostre parti, non è una qualità scontata. È il tratto che misura la serietà di una classe dirigente.
