Ricordo di Luciano Pellicani, che con Bettino Craxi sfidò la roccaforte del Pci

Quando nel 1917 ci fu la Rivoluzione bolscevica «riemerse il vecchio dissidio fra statalisti e antistatalisti, autoritari e libertari, collettivisti e non, i primi eredi della tradizione giacobina si raggrupparono secondo le bandiere del marxismo leninista mentre i secondi volevano rimanere nell’alveo della tradizione pluralista della società occidentale». Nasceva così il riferimento a Proudhon (che poi sul piano giornalistico fu molto enfatizzato) che aveva contestato dalle origini il rischio di autoritarismo presente in Marx e nella sua nozione di dittatura del proletariato. In realtà «il leninismo non è affatto l’ideologia della classe operaia bensì la giustificazione filosofica del diritto storico degli intellettuali di governare autocraticamente le masse lavoratrici». A sostegno di questa affermazione venivano richiamati Rosa Luxemburg e il Trotskij menscevico del 1904. Il Vangelo socialista esprimeva la scelta preferenziale per il filone eretico della stessa socialdemocrazia «da Russell a Carlo Rosselli, a Cole, ci perviene un unico stimolo che ci invita a non confondere il socialismo con il comunismo, la piena libertà estesa a tutti gli uomini con la cosiddetta libertà collettiva, il superamento storico del liberalismo con la sua distruzione. Fra comunismo, leninismo e socialismo esiste una incompatibilità sostanziale che può essere sintetizzata nella contrapposizione fra collettivismo e pluralismo». La combinazione fra la firma di un leader politico e l’elaborazione di un intellettuale eretico fu esplosiva. Dopo i saggi di Nenni su Mondo Operaio nel ’56-’57 sul rapporto di Kruscev e la repressione della rivolta ungherese, Il Vangelo socialista contestava il cuore teorico e politico del comunismo italiano: malgrado le battute di Berlinguer sulla Nato tuttavia il legame con l’Urss rimaneva organico come testimonia l’appunto di Tatò. Comunque il saggio di Craxi e di Pellicani penetrò come un coltello nel burro della melassa culturale del Pci non abituato ad essere affrontato su quel terreno. Le reazioni furono due. Giorgio Napolitano scrisse un articolo volto a smorzare i contrasti e a riassorbire la contestazione craxiana. Berlinguer seguì la linea di segno opposto e a Genova il 17 settembre del 1978 suonò le trombe del patriottismo comunista e sull’Urss disse: «Le nostre riflessione critiche sulla storia sovietica e sulle realtà dei Paesi socialisti si muovono sempre nella consapevolezza della portata mondiale della rivoluzione socialista e della costruzione delle società nuove. Non siamo e non saremo tra coloro che, prendendo le mosse da un legittimo e necessario ripensamento critico della storia del socialismo finora realizzato, arrivano di fatto a rinnegare o smarriscono il valore per tutto il mondo dell’opera di Lenin e della Rivoluzione d’Ottobre». È evidente che una posizione del genere diede a Bettino Craxi un grande spazio politico e a intellettuali socialisti come Luciano Pellicani un grande ruolo culturale, perché oramai larga parte della cultura comunista non riusciva a percepire quello che stava accadendo nel mondo, in particolare l’involuzione in atto nell’Urss e nei Paesi comunisti dell’Est.