Ritratto di Charles De Gaulle, l’uomo che terrorizzò l’Italia

L’Italia nel dopoguerra non ha dovuto combattere guerre di decolonizzazione e questa è una fortuna che non valutiamo mai abbastanza. Ma la Francia non aveva smesso di essere in guerra in tutte le sue colonie, aveva concesso l’indipendenza a Marocco e Tunisia, mentre l’Algeri dei pieds noir (i bianchi francesi) erano pronti alla secessione e avevano tentato un colpo di Stato. In più, la Francia aveva perso l’Indocina a Dien Bien Phu nel 1954 contro l’esercito nordvietnamita che non era affatto composto da guerriglieri, ma era uno dei più forti eserciti, dotato di artiglieria mobile pesante, sostenuto da Urss e Cina. Poi, aveva subito il tracollo insieme agli inglesi nella crisi di Suez del 1956, quando Nikita Krusciov, con il tacito consenso americano, minacciò; di bombardare Londra e Parigi se l’Egitto non fosse stato sgombrato dalle truppe d’invasione anglofrancesi, cui si erano aggiunti anche gli israeliani. Insomma, era un altro mondo, duro e armato, e la Quarta Repubblica era stata una barzelletta democratica, con continui cambi di governo fra centristi, Sfio e comunisti che erano sempre di pari forza. De Gaulle fu chiamato dai generali ribelli di Algeri, alteri e magri nelle loro uniformi coloniali, sprezzanti. Io ero allora un liceale molto radicale e molto vicino al Fln algerino, quello splendidamente ricordato nella Battaglia d’Algeri di Gillo Pontecorvo. De Gaulle si suicidò un po’ come il primo Renzi con un referendum su stesso, quando sfidò l’onda lunga del “joli mai” francese, la rivoluzione delle barricate di maggio, e chiamò il popolo a decider se volevano un paese governato dalle nuove forze della rivoluzione estetizzante o se preferissero lui, “mon general”. E i francesi lo rimandarono a casa, la sua di Colombey les Deux Églises, dove erano venuti a supplicarlo di prendere il potere e dove aveva rinunciato alla fucilazione di massa di tutti gli imbecilli, perché sarebbe stato davvero un programma troppo vasto. E scrisse le proprie memorie finché una decorosa morte lo colse, già imbalsamato nel mito e nel nome dell’aeroporto più bello di Parigi.