Era un narcisista? Altroché: se lo poteva permettere. Era un leader, un pifferaio magico che raccoglieva masse di discepoli e non li portava nel baratro, ma li educava alla virtù della disobbedienza. E quell’Italia color della “Celere” (la polizia in grigioverde con elmetto e manganello che caricava a legnate chiunque manifestasse) era molto preoccupata, scandalizzata, furiosa, indignata per le enormità da barone di Munchausen che era Pannella, per la sua sacrale mancanza di rispetto per tutto ciò che sembrava sacro. E questo, allora – non oggi – era una novità e non ci sarebbe stato l’oggi senza lo ieri, che era Marco. Poi, aveva questa passione per le culture miste: ci trovammo in Alto Adige per una meravigliosa campagna di Alexander Langer che le aveva proprio tutte: mezzo ebreo, mezzo ladino, mezzo tedesco e mezzo italiano, aveva ancora posto per altri mezzi e si formò allora con lui e con loro una comunità di amici e gente senza patria o con eccesso di patrie che era magnifica e il ricordo fa quasi piangere perché credevamo tutti, con Langer e con Pannella, di appartenere a una umanità senza patrie e confini e bandiere e per ciò stesso molto più morale, bella esemplare e degna di amore di una patria col filo spinato e l’alza-bandiera. E poi a Trieste di Saba e dei poeti, nella Trieste di Joyce e dei camminamenti per la Jugoslavia e i ragazzi che indossavano sei paia di jeans uno sull’altro per contrabbandarli al check point poliziesco e le birrerie e i segreti per varcare la frontiera guardando il mare in vista del castello dei von Taxis che ebbero l’idea di scrivere Taxis sulle loro auto da noleggio. Pannella amava l’umorismo, era di sentimenti forti e multipli, apparteneva alla generazione di cui anch’io mi sentivo parte degli antimilitaristi che cantavano L’Amour et la Guerre di Aznavour. A Radio Radicale si contendeva il microfono con un altro mito scomparso, Massimo Bordin, che con quella sua voce da cronista di boxing negli anni Quaranta, leggeva e commentava i giornali. Ho avuto anche l’onore di essere letto e commentato dai due, roba da tremare. Era a tutti i costi antiproibizionista, era sicuro che l’unico modo per combattere droghe e mafia fosse di liberalizzare la droga e metterla sotto il controllo dello Stato e della Sanità pubblica. Non era facile stare dalla sua parte su tutto, ma tutti stavamo prima o poi dalla sua parte. Ci siamo anche reciprocamente irritati, ognuno pretendeva. Finisce la sua storia così, con un enorme lascito, un ingombrante ricordo, ma molto festoso. Senza di lui non avremmo osato, con lui ci siamo buttati a capofitto e anche i meno dotati in temerarietà hanno emesso qualche ringhio. Era scanzonato e aveva la faccia di chi ti può prendere per il culo, ma con rispetto. Sapeva sempre mettersi nelle scarpe degli altri ed essere gli altri. Ecco perché tutti lo hanno incensato, ma nessuno lo ha fatto ministro. E a lui questo bruciava: «Credimi, ho voglia di auto blu. Ho voglia di ministero, un bel doppiopetto per Palazzo Chigi …». E rideva. O almeno, sorrideva con tutti quei denti bianchi che aveva.
Ritratto di Marco Pannella, il narciso che se lo poteva permettere
