“È solo l’ultimo sfregio che questo ragazzo subisce, un’altra ferita che non merita”. Il tono di Maria Luisa Iavarone è ferito, indignato. La professoressa di pedagogia dell’Università Parthenope di Napoli racconta a Il Riformista del furto della bicicletta elettrica del figlio Arturo Puoti. Il nome del ragazzo era diventato noto a causa della brutale aggressione del 18 dicembre 2017. Arturo aveva 17 anni quando una baby gang lo accerchiò a via Foria e, soltanto per qualche millimetro, il coltello con il quale venne colpito non recise mortalmente la carotide. “Era una bicicletta elettrica che ha voluto come regalo per la maturità. La usava per spostarsi, per andare all’università. L’ha preferita allo scooter. Era l’unico bene in suo possesso”, spiega Iavarone che sta provvedendo a denunciare il furto alle forze dell’ordine.
Il gesto ferisce più per il suo valore simbolico che per il danno economico. “Ho voluto rendere pubblico il fatto perché ormai la nostra vicenda è diventata nota. Tutti sanno dove abitiamo e nel vicinato ci conoscono tutti”. Iavarone ha pubblicato sulla sua pagina Facebook il video che riprende un uomo che la sera del 27 marzo si è introdotto nel palazzo dove vive la famiglia. L’individuo, kway bianco con il cappuccio e snearkers, tira fuori dalla busta un flex a batteria e trancia la catena che assicura la bicicletta elettrica prima di salire in sella e dileguarsi. “Senza batteria – continua la professoressa – perde tutto il suo valore. Quanto può valere adesso quella bicicletta? Se questa persona aveva bisogno di qualcosa poteva rivolgersi alla nostra associazione”. Dopo il brutale episodio del 2017 Iavarone ha infatti fondato l’Associazione Artur (Adulti Responsabili per un Territorio Unito contro il Rischio), con la quale si sta tra l’altro impegnando per far fronte all’emergenza coronavirus. “Ci siamo attivati – spiega – abbiamo organizzato una raccolta fondi per l’Ospedale Loreto Mare che ha già superato i 30mila euro, abbiamo lanciato la spesa sospesa e la distribuzione gratuita di mascherine”. L’episodio, visto il momento critico dovuto all’epidemia, e lo sforzo solidale della società per fronteggiarla, genera ancora più indignazione.
“Qualcuno – dice la professoressa – ha fatto riferimento al cavallo di ritorno. Non ci interessa: ci opponiamo fermamente, non cediamo a questa mentalità assurda che non fa che alimentare l’illegalità. Qualora volessero restituirla potranno lasciarla sotto casa. Tanto sanno dove viviamo”. Quello che resta della vicenda è soprattutto indignazione. E un sentimento di stanchezza, di sconfitta. “Ancora una volta di ritroviamo feriti, desolati – chiosa Iavarone – sono episodi che ti portano a pensare di mollare, di arrendersi. Non so se vale ancora la pena impegnarsi”.
