Salvatore Buzzi è in cella. La condanna della Cassazione (12 anni e 10 mesi, corruzione) per l’ex ras delle cooperative romane è diventata definitiva. Ma l’arresto è avvenuto – per modalità e tempistica – contravvenendo ogni principio. Abusi, forzature e colpi bassi della Procura hanno vanificato – fino ad annullarle – tutte le garanzie previste per il condannato che nel gergo poliziesco diventa “catturando”. Salvatore Buzzi, senza alcuna possibile assistenza degli avvocati, viene prelevato all’1 di notte e destinato al carcere di Catanzaro malgrado la preesistenza di una condizione che la legge prevede in tutt’altro assetto. L’incidente di esecuzione è stato presentato lunedì dai legali e le sue motivazioni non possono passare inosservate.
A Buzzi, 67 anni il prossimo novembre, si è aggravato un problema di vista, con un occhio dal deficit visivo compromesso. E ha ipertensione, per non parlare del diabete. Facendo gli esami gli riscontrano una positività all’alcol test. Approfondendo le analisi, emerge il problema. Aveva iniziato a bere, vizio dal quale il lavoro al pub non lo aveva tenuto lontano. Già a gennaio lo sottopongono ad accertamenti all’ospedale Sant’Eugenio di Roma che dopo rigorosi controlli sentenzia: “Alcolismo, dipendenza da disintossicare al più presto”. Ne va della compromissione delle funzioni vitali, la priorità è curare il curabile. L’età avanza. E la debilitazione del corpo segue quasi sempre il morale fiaccato dalle avversità giudiziarie. Al medico dell’Asl Roma2 si affianca la psicoterapeuta.
Per Buzzi si profila il percorso del ricovero in una comunità terapeutica. O meglio, si cerca una comunità: i Serd, dove la sanità pubblica ricovera chi deve liberarsi dalla dipendenza dal bere, sono saturi in tutta Italia. A fatica, e dopo mesi, si apre uno spiraglio. Dove? Paradossalmente, a dispetto dei dati solitamente poco lusinghieri, la prima disponibilità è in Calabria. Una struttura dal nome emblematico e giocoso: Il Brutto Anatroccolo. A Lamezia Terme. È nel maggio di quest’anno che Buzzi arriva nella cittadina del catanzarese per essere curato e capisce di dover dare un senso, adesso o mai più, alla sua vita. Recuperarne il pieno controllo, fisico e mentale. Inizia così a seguire le prescrizioni, si sottopone alle analisi, esegue con disciplina, tra qualche sbuffo, tutti gli esercizi fisici.
I controlli non sono solo dei sanitari. Ci sono quelli dei Carabinieri, e sono doppi: due volte al giorno la gazzella dell’Arma infila il vialone che porta ai giardini del comprensorio del Serd per verificare che il paziente stia compiutamente seguendo il regime di disintossicazione previsto. Buzzi era già sottoposto al regime di Sorveglianza speciale. Ma a Roma i controlli erano meno stretti, più infrequenti. Torniamo al ricovero volontario nella struttura Serd di Lamezia: Buzzi e i suoi difensori hanno presentato istanza al magistrato di Sorveglianza che ha autorizzato la terapia, e ne ha previsto i controlli. È un dettaglio importante: indica che la magistratura aveva ben acquisito tutte le informazioni sullo stato di salute del soggetto per il quale stava, per altro verso, preparando la brace per lo spiedo. Il brutto anatroccolo diventa pollo alla diavola. E in effetti quando la Cassazione fa cadere l’ultima speranza per Buzzi, che succede?
La Procura di Roma emette l’ordine di carcerazione, che però non viene comunicato ai difensori. Tecnicamente si appellano alla legge che cade in un paradosso normativo clamoroso: la Procura esige che la nomina dell’avvocato che si occuperà della sorveglianza venga fatta dal “catturando” solo in seguito alla ricezione del mandato di arresto. Ma spiccando il mandato in pieno orario notturno, intorno alla mezzanotte, rende di fatto inefficace il dispositivo, con le comunicazioni incerte e le irreperibilità degli avvocati. Ed è così che va per Buzzi. Le gazzelle che si fanno carico della visita, nella notte dello scorso 26 settembre, al Brutto Anatroccolo, sono ben due. Varcano il cancello elettronico della struttura all’1 di notte. Un’ora e mezza dopo che la Cassazione ha sentenziato la condanna definitiva. C’è un Maggiore del Ros che Salvatore Buzzi conosce da tempo e riconosce subito. “Siete venuti apposta, da Roma?”, chiede.
Loro confermano, e fanno capire di essersi mossi per tempo. Piuttosto in anticipo sulla sentenza, per logica: la distanza in autostrada (cinque ore) e perfino quella in aereo non avrebbe mai consentito di partire dalla Capitale solo dopo aver preso atto della decisione degli ermellini. Buzzi viene preso in fretta e furia e parcheggiato nella Caserma dell’Arma a Lamezia Terme. Con quale esigenza, tanto trambusto, se da quella comunità non poteva – e non voleva – evadere? E perché non attendere la mattinata? La fretta non è mai buona consigliera: infatti l’ordine di carcerazione, sbagliato in più punti, deve essere rinnovato con un ordine esecutivo secondario. Troppi vizi formali.
La sospensiva degli avvocati – Buzzi aveva diritto al trattamento terapeutico in comunità, ai sensi della legge 94 (Testo Unico sull’ordinamento penitenziario, D.P.R. 309/90) – arriverà il giorno dopo, e per ora cade nel vuoto. Perché inizia subito il rimpallo di competenze. “Va fatto a Roma”. “No, va fatto a Catanzaro”. È infatti nel penitenziario di Catanzaro, in regime di media sicurezza, che è finito in cella Salvatore Buzzi. Addio alla disintossicazione, alle terapie, alle cure. L’avvocata Anna Garcea, che difende Buzzi, va su tutte le furie, presenta l’incidente di esecuzione per eccepire tutte le anomalie del caso e non si dà per vinta. “I diritti dei condannati non valgono meno dei diritti degli altri”, si ostina a dire.
