Matteo Salvini è una macchina politica modernissima perché capace di autocorreggersi, imparare e riprogrammarsi. Ha fatto l’analisi grammaticale dei gravi errori di comunicazione durante la crisi estiva e si presenta sempre con un linguaggio riadattato. Non so se disponga di una squadra di spin doctor, ma certamente ha intorno a sé una squadra di gente che se ne intende: al comizio di San Giovanni il palco era un’astronave di tecnologia, postazioni di computer dietro le quinte, specialisti del suono, delle luci, nulla lasciato al caso. Silvio Berlusconi era eccitato e sbalordito: il vecchio modernista sentiva che una nuova era spaziale aveva preso il posto di quella in cui lui aveva mandando le Panda su e giù per le montagne a portare con la cassetta del secondo tempo dei film alle sue televisioni per dare l’impressione di una rete nazionale che era proibita. Un altro mondo. E, politicamente, Berlusconi aveva fatto quella operazione spregiudicatissima di mettere insieme i leghisti di Umberto Bossi con i fascisti di Gianfranco Fini, ma senza maritarli in chiesa, creando maggioranze impensabili per stoppare la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto.
Oggi Salvini è un apprendista stregone punto cinque, punto sei, chissà. Fa storcere il naso ai veterani bossiani come Giuseppe Leoni, primo deputato storico della Lega, che rimpiange l’anima federalista e rifiuta quella fascista. Ma è un apprendista per ora vittorioso perché il suo progetto assurdo, l’ha portato a dama mettendo insieme terroni e padani. La Lega Nord di Bossi era nata per la secessione federalista dal Regno delle Due Sicilia e dello Stato della Chiesa. Salvini ha avuto l’intuizione di un partito nazionale che occupasse con linguaggio faticosamente ai liniti dell’arco costituzionale (ricordate l’arco costituzionale? Tutti dentro, salvo i fascisti) lo spazio del nazionalismo. Sono gli italiani dei nazionalisti? Sì, ma non come patrioti inglesi. Piuttosto come tifosi di una squadra di calcio con i cartelli lerci arrotolati sotto la giacca. È allo stadio che gli italiani si formano nella loro Accademia di West Point, la loro Sorbone e Trinity College.
Quando un giornalista americano chiese a Mussolini chi gliel’avesse fatto fare a inventare il partito fascista, l’ex duce prossimo a piazzale Loreto rispose sfacciatamente: “Io ho fornito soltanto riti e costumi, ma il fascismo se lo sono inventato gli italiani”. Mussolini barava, ma non era stupido. Come mai, d’altra parte, la regione più nera e stra-fascista d’Italia, diventò poi la più rossa, a stessa ’Emilia-Romagna che a gennaio si teme, che possa votare Salvini? La valvola di sicurezza degli italiani è il trasformismo. Non parlo dei cosiddetti voltagabbana politici che agiscono nel mandato costituzionale “senza vincolo di mandato”, ma proprio degli italiani. Gli ebrei italiani, ad esempio, salvo Carlo Levi pittore, erano tutti più o meno fascisti, come è stato ampiamente riconosciuto nel dibattito che accompagnò la presentazione del libro “Gli ebrei romani dopo le leggi razziali”.
Gli italiani ebrei avevano partecipato eroicamente e anche con larghi contributi al Risorgimento ed avevano combattuto tutte le guerre per la loro patria ed erano stati anche nei governi Mussolini, prima che spaventati, si sentirono indignati e traditi dal capo fascista. Il quale aveva una fidanzata ebrea Margherita Sarfatti ed era pazzo di Sigmund Freud (detestato da Benedetto Croce oltre che da Hitler), il quale si rivolgeva a lui chiamandolo “protettore della civiltà”. Mussolini si vendette i compatrioti ebrei non perché fosse antisemita, ma per pura viltà e opportunismo, non avendo i mezzi per combattere una guerra e piatire la mancia tedesca gettando sul tavolo delle trattative una carrettata di morti e di esclusi. Molto italiano. Questo è il genere di vergogna che portiamo addosso.
Anche Salvini è molto italiano. Ha capito di aver rotto le palle con i suoi santini e madonne e bacetti a Gesù bambino come gli avevano consigliato le beghine di paese e ha capito che per fare cassa doveva fare una sola cosa: mettersi all’uscita del cinema Italia e ritirare il consenso degli italiani furiosi per l’immigrazione assenza controllo, e terrorizzata. Fino all’arrivo di Marco Minniti al Viminale, il Pd si era venduto il Paese facendo arrivare i disgraziati africani – peraltro i più ricchi in grado di pagare circa milleseicento euro di biglietto su gommone – e gettarli in pasto alla mafia, alla ‘Ndrangheta e a tutti i piccoli affaristi che potevano stiparli in qualsiasi stalla, scantinato, albergo demolito, nutrendoli – inchiesta del procuratore Gratteri in Calabria – di mangime per maiali arricchito con polivitaminici e assegnando loro cessi in cartongesso che crollavano al quinto sciacquone. Migliaia di italiani si sono fatti la Ferrari e la Lamborghini incassando i sussidi per mettere in recinto gli africani e spacciandosi per buoni, creature angeliche, col sorriso di papa Francisco de las Andes. Gli italiani che si son o visti arrivare in paese migliaia di disperati e incazzati, affamati e pronti a tutto, comunque percepiti come aggressivi, pericolosi e sconosciuti, hanno reagito come reagiscono tutte le macchine umane. Io ricordo che quando andavo a partecipare ai dibattiti televisivi con esponenti del PD, dopo la trasmissione ricevevo da loro le confidenze della disperazione perché sentivano che l’elettorato comunista o di sinistra li stava mollando: “Alle riunioni non dicevamo più con Bersani che c’è una vacca nel corridoio, ma che c’è un Africano”.
Il Pdi sotto i governi Renzi e Gentiloni, con la breve parentesi di Minniti che è stato prontamente segato dalla corsa alla segreteria, ha fatto tutto da sé per ingordigia di buonismo peloso e da pronto incasso, mandando in bestia i suoi elettori, guarda i rossi umbri che in casa hanno solo libri Feltrinelli. Son o loro che hanno creato le condizioni perché qualsiasi politico con i piedi per terra e la testa sulle spalle si organizzasse per vendemmiare quel ben di Dio. Così è nato Salvini. Gli sbarchi erano già ridotti dell’ottanta per cento grazie a Minniti (e Macron fece una scenata memorabile in proposito) e Salvini ha potuto soltanto interpretare il ruolo di capitano, più precisamente Capitàn Fracassa. Fermava le navi Ong e si trovava di fronte tutta la sinistra che interpretava il ruolo di “noi siamo i buoni e voi siete i cattivi” e lui, Salvini a perso la battaglia della Diciotti i cui occupanti furono presi in carco dalla Chiesa e subito dispersi nei boschi dei Castelli romani, ha litigato con la capitana tedesca che aveva dalla sua parte tutto il mondo Greta, una potenza mondiale micidiale. Mettendosi all’incasso della reazione di spavento, indignazione e rifiuto istintivo della retorica pro-immigrazione senza controlli e regole, senza garantire un tetto ai nuovi venuti, la sicurezza, la salute, l’istruzione, Salvini ha fatto il pieno. Non un pieno facile, perché ha dovuto capovolgere il nordismo trasformandolo in sovranismo nord-sud-est-ovest-ista, cosa resa sempre più semplice dalla festosa attitudine degli italiani di saltare sul carro del vincitore e soccorrerlo se non ne ha bisogno.
Salvini non è fascista, a mio parere, anche perché nessuno oggi potrebbe essere fascista. Ci sono i neofascisti che quando li vai a misurare alle elezioni scopri che valgono lo zero virgola zero, neanche le tracce di albumina. Perché non esistono, grazie a dio. Non esistono come politica, come minaccia, e sono in piedi soltanto perché l’antifascismo è stato proclamato religione anziché storia e dunque ha bisogno che ci siano dei fascisti altrimenti manca di punto di applicazione. I neofascisti sono un eritema perenne in tutte le democrazie e dopo la caduta del comunismo sovietico la sorpresa di noi occidentali fu che, scoperchiato l’impero del male (copyright Ronald Reagan) sotto quel coperchio era tutto un pullulare di nazisti, naziskin, razzisti, antisemiti, gente tatuata con tutta l’attrezzeria runica, tutta schifezza che tra l’altro non ha niente a che fare neanche col fascismo italiano, andatevi almeno a leggere la storia. Salvini è in realtà Alberto Sordi.
Quei personaggi di Sordi in cui incarnava l’opportunista strutturale: “Come dici, piccola? Sei una negretta venuta dall’Africa nera? A negrè, io te rispetto. ‘A vòi ‘na banana? E pìjete na banana”. Ve ne accorgete meglio quando Salvini usa loffiamente il termine “bimbi” al posto di bambini perché fa più sciroppo. E in genere quando parla e ricostruisce continuamente e con grandissima diligenza (è un enorme merito) la lingua popolare degli italiani della grande provincia unica, modulandosi e riadattandosi come un mutante sbarcato su un pianeta ostile in Terronia, partecipa in diretta alle intemerate contro di lui, ascolta, immagazzina, rielabora, impara e risponde sempre meglio. Poiché la sinistra è di sua natura, ormai e purtroppo, cerebrolesa e inscatolata sottolio, detta sinistra non ha neuroni sufficienti per capire che dare del fascista a Salvini è proprio come spararsi sui coglioni nella famosa barzelletta. Ma attenzione: Salvini è vulnerabile altrove. È filo-putiniano. Di ferro. Lasciamo perdere la faccenda dell’hotel Metropol e dei suoi microfoni nascosti (per forza: è l’albergo in cui si riuniscono gli uomini dell’intelligence). Lasciamo perdere i rubli, dollari, euro, fiorini e denaro di Monopoli.
Il punto è: Salvini, come la LePen, è abbracciato con Putin e deve accollarsi il putinismo come religione. Ora Putin – proprio in queste settimane – sta riabilitando Stalin per motivi identitari spiegati in Italia dal suo ideologo viaggiante Dughin. Provate a chiedere a Salvini che ne pensa di Stalin e del comunismo sovietico. Vedrete come svicolerà parlando d’altro. Lo stesso la Meloni, che a sua difesa può ben dire di non conoscere la storia e spesso neanche la geografia. Ma chiedete dei giudizi netti, precisi, univoci, e avrete risposte contorte e molto benaltrismo: ben altri sono i problemi, ben altri i temi… Salvini è ormai un esperto navigatore e gli opinionisti e i giornalisti televisivi sanno che se vogliono fa carriera e tenere a contratto la cadrega devono praticare un sovranismo preventivo, magari un po’ problematico – il dubbio del resto è stato elevato a virtù civile anziché dichiarato piaga nazionale – e riavrete la stessa Italia che descriveva Manzoni nel discorso sul carattere degli italiani, Manzoni nel romanzo e nella colonna infame e Collodi con Pinocchio vittima del gatto e della volpe. Dna, tutto scritto. Salvini legge quel Dna come un cieco legge il Braille.
E in questo, per ora, nessuno lo batte e, dunque, aspettatevelo pure dietro l’angolo, perché dietro l’angolo ce l’avete messo voi, un voi ecumenico.
