San Siro, Milano vince ai supplementari: il paradosso di una delibera che riscrive gli equilibri con i muri del Meazza

Alle quattro del mattino del 30 settembre, quando il Consiglio Comunale ha approvato con 24 voti favorevoli e 20 contrari la vendita dello stadio di San Siro a Inter e Milan, non si è chiusa solo una seduta fiume durata oltre undici ore. Si è aperta una crepa profonda che attraversa entrambi gli schieramenti politici, rivelando come le grandi questioni urbane – quelle che intrecciano capitali internazionali, tradizione cittadina e futuro metropolitano – non possano più essere lette con le lenti novecentesche della contrapposizione destra-sinistra.
La delibera che cede il Meazza e le aree circostanti ai club per 197 milioni di euro (al netto di circa 22 milioni di compartecipazione comunale) ha prodotto un risultato politico paradossale: una maggioranza di centrosinistra salvata dall’astensione di Forza Italia, un’opposizione di centrodestra spaccata tra pragmatismo e protesta, e soprattutto la certificazione che il “campo largo” non esiste più, almeno non sui temi strategici per il futuro della città.

La notte delle contraddizioni

Il dato più eclatante della votazione non sono stati i 24 sì, tutti provenienti dalla maggioranza, ma i 20 no che hanno visto convergere in un’inedita alleanza trasversale i consiglieri di Lega e Fratelli d’Italia con sette dissidenti del centrosinistra: i tre Verdi Carlo Monguzzi, Francesca Cucchiara e Tommaso Gorini, i tre del PD Alessandro Giungi, Angelo Turco e Rosario Pantaleo, più Enrico Fedrighini del gruppo misto. A questi si è aggiunto Alessandro De Chirico, l’unico di Forza Italia a rimanere in aula e votare contro, in aperta rottura con la linea del suo partito. La svolta decisiva è arrivata quando tre consiglieri forzisti – Luca Bernardo, Gianluca Comazzi e Deborah Giovanati – hanno abbandonato l’aula al momento del voto, abbassando di fatto il quorum necessario e permettendo alla delibera di passare. Una mossa che ha scatenato le ire degli alleati del centrodestra. “Fino a ieri tutta l’opposizione era compatta nel votare contro questa delibera”, hanno tuonato i consiglieri della Lega. “Oggi Forza Italia cambia improvvisamente idea e sceglie di uscire dall’aula, offrendo un aiuto determinante al sindaco e alla sua maggioranza divisa”.

Il pragmatismo azzurro e le accuse di tradimento

Alessandro Sorte, deputato e segretario regionale di Forza Italia in Lombardia, non si è sottratto alle polemiche, rivendicando anzi il merito politico dell’operazione: “Non solo noi non siamo stati la stampella, ma addirittura siamo stati quelli che hanno fatto scoppiare la scintilla all’interno della maggioranza di centrosinistra. Oggi emergono tutte le contraddizioni che loro hanno all’interno”. E ancora: “Noi abbiamo dimostrato responsabilità: con il nostro atteggiamento abbiamo salvato la città, che altrimenti sarebbe stata condannata al declino”.
La posizione di Forza Italia, confermata anche dall’ex sindaco Letizia Moratti, ha di fatto certificato che su temi come lo sviluppo urbano e le grandi infrastrutture esiste una convergenza trasversale tra i riformisti di entrambi gli schieramenti. “La Lega”, ha aggiunto provocatoriamente Sorte, “è salita sulla Flotilla insieme a una parte del PD e AVS, scegliendo di navigare verso il baratro a cui vorrebbero condannare Milano. Mi chiedo: quanti valori condividiamo davvero con chi si ritrova, su temi così strategici, sulle stesse posizioni della sinistra estrema?”.

La maggioranza che non c’è più

Sul fronte opposto, l’addio più clamoroso è quello di Carlo Monguzzi, storico esponente dei Verdi che dopo vent’anni in Consiglio Comunale ha annunciato il suo abbandono dalla maggioranza: “Dal sogno iniziato con Pisapia all’incubo di questi giorni, per me la misura è colma. Non sono io che esco dalla maggioranza, è questa coalizione che ha tradito i valori, gli ideali e le promesse con cui siamo stati eletti”. Monguzzi non risparmia critiche feroci: “La situazione dopo il Salva Milano è addirittura molto peggiorata. Ma il macigno politico è la sostituzione di una parte della maggioranza, gli ambientalisti e la sinistra, con Forza Italia. La maggioranza diventa diversa da quella uscita dalle urne”.
Un’analisi condivisa, seppur con toni diversi, anche dal capogruppo della Lista Sala, Marco Fumagalli, che pur non partecipando al voto ha annunciato le sue dimissioni dal ruolo di capogruppo: “Avrei voluto tanto votare contro, ma per responsabilità nei confronti dei miei colleghi, del sindaco, non voterò”. Un gesto che testimonia il disagio profondo anche nell’area più vicina al primo cittadino.

Le ragioni del sì: modernizzazione contro nostalgia

Dalla parte dei favorevoli, il PD ha cercato di tenere la barra dritta sul pragmatismo amministrativo. La capogruppo Beatrice Uguccioni ha rivendicato il lavoro svolto per migliorare la delibera, sottolineando come “i soldi del bilancio comunale non possono finanziare lo stadio e il branding calcistico. I soldi dei cittadini vengano usati per i servizi pubblici e non per ristrutturare, finanziare, mantenere o garantire lo stadio di Serie A”. Gianmaria Radice di Italia Viva, unico consigliere del suo partito e parte del gruppo dei Riformisti che ha votato compatto a favore, ha inquadrato la scelta in una prospettiva storica: “Politicamente si è scelto di guardare in avanti come tante altre volte è stato fatto in passato anche con giunte di colori diversi come nel caso degli Scali ferroviari, di City Life, di Expo, della Darsena, di Porta Nuova, di Santa Giulia e in occasione di altre rigenerazioni grandi e piccole”. Ma non ha mancato di lanciare una stoccata al centrodestra: “Hanno scelto di non investire sul futuro ma solo sul passato. Hanno tentato di cavalcare le divisioni nella maggioranza fallendo. Erano tutti favorevoli al nuovo stadio ma alla fine hanno preferito il pantano dello status quo”.

Il metodo contestato e la “tagliola” notturna

La seduta del Consiglio è stata segnata anche da aspre polemiche procedurali. Dei 239 emendamenti presentati, ne sono stati discussi solo 25 prima che, alle 3 di notte, venisse approvato un subemendamento “tagliola” proposto dalla consigliera PD Natascia Tosoni che ha fatto decadere tutti gli altri. Una mossa che ha scatenato le proteste non solo dell’opposizione ma anche di parte della maggioranza, in particolare dei Verdi. Silvia Sardone della Lega ha parlato di “metodo antidemocratico”, mentre Mariangela Padalino e Manfredi Palmeri di Noi Moderati hanno sollevato dubbi sulla legittimità dell’operazione.

Al di là delle dinamiche politiche, restano aperti numerosi interrogativi sul progetto stesso. Il Comitato legalità e antimafia del Comune, presieduto da Nando Dalla Chiesa, ha sollevato perplessità sui titolari dei club e sulla capacità di spesa, spingendo per l’inserimento di clausole anti-mafia nella delibera. Un emendamento in tal senso è stato approvato, prevedendo l’obbligo di utilizzo di imprese iscritte alle “white list” per i lavori. Dal canto loro la due società calcistiche avevano chiesto uno “scudo” per mettersi al riparo da eventuali “procedimenti penali relativi all’operazione di vendita e sviluppo”. La vicesindaca Anna Scavuzzo, che ha preso in mano il dossier nelle ultime settimane, ha mostrato soddisfazione ma anche realismo: “C’è una soddisfazione rispetto alla prospettiva di poter trasformare l’area di San Siro, su cui c’era una preoccupazione per un futuro incerto. Abbiamo provato a scrivere una pagina nuova e abbiamo solo iniziato. Adesso parte una pratica amministrativa non banale e tocca alle squadre fare una parte che fino a ora hanno fatto troppo poco”.

Tutto si gioca da adesso in poi, anche in consiglio comunale

Il nodo centrale rimane quello evidenziato trasversalmente da tutti i protagonisti più responsabili del dibattito: la necessità di vigilare affinché l’operazione non si trasformi in una mera speculazione immobiliare ma produca reali ricadute positive sulla rigenerazione dell’intero quartiere di San Siro, allargato alle aree circostanti che urgono di una riqualificazione. C’è poi Il temuto rischio che l’intero percorso di realizzazione del nuovo stadio finisca per nascondere oneri economici imprevisti per il Comune. Il sindaco Sala, dal canto suo, ha scelto la linea di un realismo politico che lui stesso ha definito cinico: “Conta il risultato. Tra poco tempo ci si dimenticherà dei 24 voti e tutti metteremo la testa sul progetto del nuovo stadio”. Ma la realtà è che questa votazione racconta di una maggioranza che probabilmente, ancora in futuro dovrà cercare i voti di volta in volta tra altri banchi. La vicenda di San Siro, con tutte le sue contraddizioni e lacerazioni, rappresenta in realtà un’opportunità straordinaria per Milano: quella di dimostrare che è possibile coniugare modernizzazione e utilità sociale, sviluppo economico e benessere collettivo, attrazione di capitali internazionali e redistribuzione dei benefici sui territori. La città che sa trasformare gli scali ferroviari in nuovi quartieri, che ha reinventato la Darsena e riqualificato Porta Nuova. La città che ha inventato il “modello Milano” di governance pubblico-privata, ha oggi la responsabilità di scrivere un nuovo capitolo della sua storia urbana.