Nel Sì&No del giorno, spazio al dibattito sul controverso gesto che ha visto protagonista Olga Kharlan, la schermitrice ucraina che ha deciso di non stringere la mano, prima della gara, all’avversaria russa Anna Smirnova. Abbiamo chiesto se il gesto sia stato giusto o meno alla conduttrice tv Giorgia Rossi, che lo approva, e al giornalista Andrea Ruggieri, che, al contrario, lo disapprova.
Qui di seguito il parere di Andrea Ruggieri.
Sbaglia chiunque consenta alla guerra della Russia contro l’Ucraina di contagiare anche la pedana dei mondiali di scherma in corso a Milano, della cui premiazione peraltro l’altro ieri sera sono stato ospite all’Arco della Pace, in una bellissima inaugurazione di Casa Italia by Coni.
Sbagliano quindi, nell’ordine, Igor Reizlin che l’altro ieri sceglie di non presentarsi in pedana contro l’avversario previsto, il russo Vadim Anokhin, come raccomandato ai suoi atleti dalla Federazione ucraina. E sbaglia Olga Kharlan, la schermitrice ucraina che ha sì scelto di presentarsi regolarmente in pedana nella sfida contro l’avversaria russa Anna Smirnova (che ha peraltro stracciato per 15-7), ma che terminati gli assalti, ha -da numero 9 del ranking mondiale- rifiutato di stringere la mano che l’avversaria russa le porgeva. Nel video si nota la Kharlan, schermitrice ucraina, che tiene allungata la sciabola, manifestando il suo rifiuto ad andare oltre quel gesto e quella distanza, una mossa che negli scorsi anni era stata adottata perché saluto sicuro a fronte dell’emergenza pandemica e dei relativi contagi da covid. Il match si chiude così, con la russa incredula di fronte all’avversaria ucraina immobile e impassibile; poi, la russa Smirnova protesta per il rifiuto dell’avversaria di stringerle la mano e mette una sedia sulla pedana dove rimane seduta per quasi 50 minuti, chiedendo provvedimenti contro l’ucraina Kharlan, che vengono presi e comportano la sua eliminazione dal torneo.
Detto che ai mondiali di scherma organizzati benissimo dalla competente Federazione gareggiano sia atleti di Kiev che di Mosca (anche se questi ultimi quasi da apolidi, cioè senza squadra nazionale, bandiera, inno, classificati dal Cio come ‘atleti internazionali neutrali’) personalmente all’atleta ucraina riconosco tutte le attenuanti del caso per un gesto che è antisportivo e che non si fa in assoluto. Capisco. Ma non giustifico. Perché lo sport è, e rappresenta, un’altra dimensione. Diversa e migliore. Quella di una competizione altra, che trascende e supera le vicende terrene cosi deludenti come quelle di cui tutto il mondo è costretto da oltre un anno a parlare; lo sport assolve una funzione pedagogico-migliorativa delle umane, miserevoli vicende. E la sportività, cioè il riconoscimento del merito dell’avversario, che ti batta o che tu batta lui, è l’essenza trascendente alle leggi terrene che regolano, o vengono stracciate, dalla Russia quando aggredisce l’Ucraina. Questo, o meglio anche questo, rende lo sport trascendente rispetto all’immanente delle cose terrene, comuni.
L’atleta ucraina sbaglia perché’ l’avversaria russa è resa e resta tale, e non nemica, proprio da questa dimensione sportiva che obbliga due persone a confrontare solo il proprio talento, non le proprie idee politiche, e perché la russa magari non approva nemmeno quanto stabilito da Putin in patria, come non lo approvavano gli atleti russi di 30 anni fa che, anche solo perché costretti a osservare e invidiare la libertà dei loro colleghi occidentali, erano vittime e non certo rappresentanti dei carnefici del regime comunista sovietico. Infatti, nei campus olimpici, non è che non fraternizzassero con i colleghi americani, avversari, diciamo anche ai tempi nemici, in una guerra fredda che vide per fortuna stra-vincitori gli americani, figli orgogliosi del mondo libero e del capitalismo.
Ma c’è un’altra ragione che mi lascia propendere per l’idea che l’atleta ucraina abbia sbagliato a non stringere la mano alla sua avversaria russa. La stretta di mano ha valore iconico. Dunque concederla significa mostrarsi superiori alla presunta inferiorità morale dell’avversario che peraltro si è appena battuto. Concederla, significa plasticamente offrire dimostrazione di superiorità, quasi umiliarla, se vogliamo. Lo sport può fare molto per emozionarci e mettere in ridicolo scelte politiche anacronistiche prese da chi governa le nazioni. Non prestarsi a dimostrare plasticamente, davanti al mondo, che la politica non può dividere quel che lo sport nella sua nobile e talentuosa trascendenza ha unito, significa essere complici degli obbrobri terreni commessi proprio da chi si vuole combattere.
