L'editoriale
Sciopero generale Cgil, Landini scomoda le coronarie: come ingannare i lavoratori e strumentalizzare i loro problemi
Lo sciopero generale proclamato dalla Cgil per il 12 dicembre (per inciso la ricorrenza della strage di piazza Fontana del 1969) sarà il quinto, a vario titolo, nel giro di meno di tre mesi per non parlare delle astensioni settoriali infiltratesi negli interstizi. Non si può negare – anche facendo riferimento agli anni scorsi – che questa forma di lotta, solenne e politicamente impegnativa, subisca un processo inflativo che ne depotenzia l’efficacia e ne accentui la ritualità, al fondo burocratica.
Neppure durante il biennio rosso del secolo scorso (1919-1920) ci furono tanti scioperi generali, anche perché la CGIL era diretta dai socialisti riformisti. Ma non commetterò l’errore di ironizzare sulla giornata del venerdì per diversi motivi: in primo luogo, perché da sindacalista di altri tempi non ho esitato a servirmi delle opportunità del calendario; ma soprattutto perché – ne sono convinto- le minoranze che in quel giorno (come si diceva una volta) incroceranno le braccia, non lo faranno, in prevalenza, per allungare il week end, ma per residua disciplina al richiamo della foresta di Maurizio Landini e per manifestare un’ostilità politica pregiudiziale nei confronti dell’attuale maggioranza di governo. Il leader della Cgil, illustrando a conclusione della Assemblea di Firenze i motivi dello sciopero, si è sforzato (mettendo a dura prova le coronarie) di ricondurre la giornata di lotta nell’ambito di un’azione sindacale. Ma non è così, perché quando si presentano rivendicazioni fuori mercato in una determinata fase storica e si riassumono le condizioni del Paese e del lavoro in slogan propagandistici, si riconosce in partenza che non esiste possibilità di confronto con qualsiasi governo o altro interlocutore e si scivola direttamente nella protesta tipica di un’opposizione politica.
Questo sciopero generale era già stato programmato all’inizio di luglio quando la Cgil varò il piano di mobilitazione in vista della sessione di bilancio. E poteva essere svolto – magari in modo più proficuo e trasparente – il giorno dopo la presentazione del disegno di legge. O addirittura sarebbe stato più serio se la Cgil avesse dichiarato: “Noi siamo contrari a questo governo, a prescindere dalle sue politiche; vogliamo che cada, perciò scioperiamo durante la sessione di bilancio per dare rilevanza alla nostra iniziativa”. Ma se questi sono i veri motivi non ha alcun senso scioperare per chiedere confusamente una diversa manovra di bilancio, quando quella criticata e contestata sta per arrivare in porto. Il 12 dicembre il testo sarà prossimo all’approvazione da parte del Senato, per andare senza modifiche al voto definitivo della Camera. Non penserà mica Landini che in zona Cesarini il governo riparta da zero o introduca delle modifiche nella lettura di Montecitorio per riportare il testo di nuovo al Senato con il rischio dell’esercizio provvisorio? Soprattutto quando uno sciopero attribuisce credibilità ad una manovra finanziaria sui mercati, mentre il ricorso all’esercizio provvisorio penalizzerebbe il Paese.
Un’astensione del lavoro in data prenatalizia è un assegno “a babbo morto”, non ha alcuna possibilità di incidere su di una manovra già impostata se non ancora definita. Può avere solamente il valore di una protesta a tempi scaduti. Paradossalmente uno spazio, almeno teorico, poteva esserci aggiungendo il peso della Cgil alla giornata di sciopero dei sindacati di base, il 28 novembre. Ma la Confederazione di Landini – noblesse oblige – non ha voluto confondersi con organizzazioni non blasonate e ritenute concorrenti scorrette. Ed ha sbagliato perché ormai sono quelli i suoi nuovi compagni di viaggio, con i quali ha trovato una convergenza sempre più stretta sui temi della politica internazionale, rigorosamente ambigui ed unilaterali, e della guerra al riarmo con uno slancio fideistico e disonesto che ignora del tutto i problemi della sicurezza e approfitta della facile demagogia che da secoli contrappone il burro ai cannoni, salvo scoprire prima o poi che viene il momento in cui il burro si difende con i cannoni.
I commentatori sono convinti che la Cgil sia obbligata a lavorare per il re di Prussia ovvero per portare il suo padre padrone alla prima genitura della sinistra (l’operazione che non riuscì a Sergio Cofferati). Ma non si costruiscono brillanti carriere salvifiche ingannando i lavoratori e strumentalizzando i loro problemi.
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