Scontri a Milano: sì al gemellaggio con Tel Aviv. L’Ambrogino d’Oro diventa un manifesto politico

Ancora tafferugli, sempre a Milano. Il Consiglio comunale ha respinto lo stop al gemellaggio con Tel Aviv, e dall’area riservata al pubblico è partito il coro “vergogna, vergogna”.

La presidente Elena Buscemi ha chiesto l’intervento della polizia locale e ha interrotto la seduta. All’esterno di Palazzo Marino alcuni manifestanti hanno inscenato una protesta: i presenti al presidio hanno iniziato a spingere contro le transenne; i poliziotti in tenuta antisommossa li hanno respinti. Ma c’è di più. Che Carlo Monguzzi, consigliere così radicale da essere uscito perfino dalla maggioranza per eccesso di sinistrismo, proponga di conferire l’Ambrogino d’Oro alla Global Sumud Flotilla non stupisce nessuno. Monguzzi è coerente con sé stesso: antagonista per vocazione, massimalista per scelta, rappresenta quella sinistra che vede in ogni manifestazione pubblica un’occasione per issare bandiere ideologiche.

Ciò che invece lascia sgomenti è che a co-firmare questa proposta sia Beatrice Uguccioni, capogruppo del Partito democratico in Consiglio comunale. Un fatto che certifica la deriva di un partito che dovrebbe incarnare il riformismo milanese e che invece si ritrova a legittimare le battaglie più divisive dell’estremismo di sinistra. Al di là dei giudizi di merito sulla Flotilla, trasformare l’Ambrogino d’Oro – la massima onorificenza di una città che ha fatto del pragmatismo e dell’equilibrio la propria cifra – in un manifesto politico su uno dei conflitti più laceranti del pianeta è un’operazione che solo chi vive di ideologia può concepire e condividere.

Che la capogruppo del Pd la sottoscriva significa che il principale partito di governo cittadino non sa più distinguere tra il legittimo sostegno umanitario e la strumentalizzazione politica. Significa che al socialismo progressista è stato preferito l’antagonismo da centro sociale. Significa che si ritiene più importante compiacere le frange estreme e il movimentismo da kefiah al collo che rappresentare quella Milano moderata, europea, aperta al mondo ma non ingenua, che costituisce la vera ossatura della città. Il sindaco Sala, visibilmente imbarazzato, ha cercato una via sobria per prendere le distanze: “Lascio al Consiglio il confronto su queste faccende”. Ma non basta, perché il problema non è solo questa singola proposta, ma ciò che essa rivela: un Partito democratico milanese in balia delle proprie contraddizioni, l’azionista politico di maggioranza della città più moderna del Paese, ostaggio delle piazze.

L’Ambrogino deve unire, non dividere, ma soprattutto deve esprimere un senso civico condiviso. Altre volte è stato contestato, perfino rifiutato, proprio perché si è ritenuto che non interpretasse le varie anime, le differenti storie della città. Che Monguzzi faccia Monguzzi è nel naturale ordine delle cose. Ma che i dem lo seguano in questa deriva è il sintomo di una malattia che rischia di diventare terminale. Milano non è un laboratorio per esperimenti ideologici, è una città che ha costruito la propria grandezza sulla capacità di innovare senza perdere il senso della misura, di essere solidale senza cadere nel massimalismo. La questione verrà affrontata in Consiglio comunale, come del resto prevede il regolamento per l’assegnazione dell’onorificenza. E qui si capirà se, a forza di campo largo, sono stati superati anche i confini del buon senso.