Una ricerca Stanford pubblicata su PNAS stima che negli Stati Uniti l’assenza cronica da scuola sia quasi raddoppiata. Dal 14,8% al 28,3%, pari a 6,5 milioni di studenti in più fuori dalle aule con regolarità. Un dato che mostra la distanza anche se non manca la volontà di contribuire, ma perché manca il contesto necessario per dare davvero valore. Un contesto che dovrebbe potersi ritrovare proprio nella scuola.
In questo periodo storico sarebbe importante che ci fosse uno sforzo congiunto per riportare il sistema verso quella scuola di cui ci raccontano i nostri genitori, svincolandosi però dall’essere la scuola della scorsa generazione. Oggi il 53% dei docenti ha più di 50 anni (vs 37% media OCSE).
Temi come l’educazione finanziaria non possono più essere marginali. Così come l’intelligenza artificiale, che non può restare fuori dalle aule, se persino la London School of Economics l’ha inserita nei piani di studio e l’Università Bocconi che da quest’anno la fornisce a ogni studente.
Più di ogni altra cosa, però, si ritiene fondamentale un insegnamento volto alla costruzione di uno spirito critico, poiché il punto saliente si riduce a una questione di costo-opportunità. Gli studenti, anche i più volenterosi, hanno capito di avere a loro disposizione sempre più fonti da cui apprendere (circa 1 studente su 3 oggi usa contenuti digitali per informarsi); perciò, la scuola torna ad essere cruciale in un sistema di educazione nazionale non solo
quando sceglie le fonti, ma quando insegna a sceglierle.
E per quanto sia vero che insegnare a pescare sia più difficile che distribuire pesce, è proprio a questa sfida che il nostro paese deve guardare se vuole realmente formare una generazione di persone pronte a ritrovare una connessione con l’istruzione, a qualunque livello.
Gli studenti sono pronti a fare la loro parte, a tendere la mano verso la scuola, ma chiedono che la scuola torni a essere l’opzione più conveniente su cui investire quel tempo che, soprattutto in età adolescenziale, non ritorna più.
