Ricostruire l’Ucraina non è uno slogan da convegno: è una sfida epocale che unisce politica, imprese e comunità. Ma prima ancora di mattoni e progetti, serve un accordo per fermare la guerra scatenata dalla Russia. Ne parliamo con Marco Scurria, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia al Senato e segretario della Commissione Politiche Ue, che segue da vicino il dossier ricostruzione.
Un accordo di pace tra Ucraina e Russia sembra lontanissimo. È difficile essere ottimisti…
«Io non sono molto ottimista. Al di là delle anime belle che riempiono le strade invocando la pace in maniera strumentale, come se fare la pace tra Ucraina e Russia fosse semplice, la verità è che nessuno oggi è nelle condizioni di convincere Putin. Anche la presidenza americana non riesce a centrare questo obiettivo, perché Putin ha in testa solo una cosa: era partito con la conquista dell’Ucraina ma ha trovato la resistenza del popolo ucraino e l’aiuto dell’Unione europea e degli Stati Uniti; oggi magari ha un obiettivo ridimensionato, ma comunque continua per la sua strada. C’è molto da insistere nel pressing su Mosca, magari fornendo delle armi anche un po’ più protettive, come chiede da tempo Zelensky. Ma la strada per la pace mi sembra ancora lunga; vedo più facile la risoluzione del conflitto in Medio Oriente».
Che risultati si aspetta dalla Ukraine Recovery Conference?
«Ci sono due aspetti. Uno più materiale, ovvero la dimostrazione di sostenere Kyiv soprattutto quando finirà la guerra, quindi dimostrare che ci sarà qualcuno che aiuterà la ricostruzione del Paese. Ma ciò che conta davvero in una fase come questa è dimostrare alla Russia che l’Ucraina non è sola. L’Ucraina deve stare in un contesto occidentale, a partire dall’adesione all’Unione europea».
Ipotizziamo che si arrivi all’intesa tra Zelensky e Putin: concretamente, quali sarebbero i primi passi della ricostruzione?
«Il primo passo sarà una ricostruzione materiale: ricostruzione di edifici, strutture e quant’altro. Ma ci sarà bisogno anche di una ricostruzione integrale della situazione dello Stato ucraino».
Infatti non dimentichiamo che c’è una seconda priorità: la ricostruzione sociale di un popolo martoriato…
«Servirà una ricostruzione psicologica, una ricostruzione dei tanti feriti e mutilati. Quindi non solo rimettere in piedi piazze, edifici e strade: ci sarà da ricostruire il Paese anche nel suo tessuto sociale, un popolo che è segnato da tanti anni di guerra».
Veniamo al coordinamento. Ci sarà una sorta di triangolazione con il governo ucraino e l’Unione europea?
«Il coordinamento funzionerà anche grazie ai rapporti solidi di Meloni con Zelensky e von der Leyen. Un paio di settimane fa Zelensky, quando è stato al Consiglio d’Europa, nel suo intervento l’unico leader occidentale che ha citato è stato il presidente del Consiglio. L’Italia svolgerà un ruolo prioritario, sarà davvero la cabina di regia della ricostruzione. D’altronde, aver scelto Roma come luogo per avviare questo percorso è un segnale chiaro».
Regioni e Comuni sono pronti a scendere in campo. In che modo?
«Ci sarà sempre la regia del governo nazionale e dell’Unione europea per lo sviluppo di una serie di progetti di gemellaggio, come spesso già avviene. Ricordiamo che l’Italia è il Paese – al di là della Polonia e dei Paesi immediatamente confinanti con l’Ucraina – che ha accolto molti ucraini, soprattutto nella prima fase della guerra. Quindi abbiamo già nelle nostre città tanti cittadini ucraini, famiglie, donne e bambini: questo sarà un volano per accelerare progetti e contatti con le municipalità, le regioni ucraine, per sviluppare progetti scolastici, di turismo, culturali, di educazione, di coinvolgimento di minori, di volontariato e di iniziative sociali».
E anche i privati possono svolgere un ruolo cruciale…
«Saranno determinanti. Sicuramente ci sarà un coordinamento pubblico, un’ottima possibilità di mostrare l’importanza della nostra economia, che è un misto tra pubblico e privato: il pubblico decide, il privato realizza. Avremo necessità di competenze, di professionalità, di aziende che hanno la capacità di mettere in moto delle buone prassi. I privati sono già all’opera per dare seguito a ciò che la politica desidera».
