Serve una riforma portuale: ben venga la concorrenza, va superata la logica di dipendenza regionale dei singoli nodi

Entrando finalmente nel merito della riforma della nostra offerta portuale prodotta ultimamente dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, penso sia opportuno formulare una serie di considerazioni che ci portano automaticamente verso uno strumento coerente con le reali esigenze di un’area strategica essenziale per la crescita e lo sviluppo del Paese. Occorre quindi una premessa metodologica che ci porti verso uno strumento coerente con le reali modifiche che, proprio negli ultimi trentuno anni (data di approvazione dell’ultima riforma prodotta con la Legge 84/94), hanno modificato le caratteristiche della logistica.

Una prima ipotesi normativa potrebbe prevedere che presso la Presidenza del Consiglio dei ministri viene istituito il Dipartimento per la pianificazione dell’offerta logistica portuale e interportuale. Il Dipartimento risponde a un apposito Comitato presieduto dal presidente del Consiglio e – su sua delega – dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ed è formato dai ministri dell’Economia e delle Finanze, della Difesa, delle Imprese e del Made in Italy, dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, del Mezzogiorno, e da due presidenti delle Regioni designati dalla Conferenza Stato-Regioni e dal presidente dell’Anci. Vengono istituite le seguenti sei società per azioni: Porti di Vado Ligure, Genova, La Spezia, Livorno e Interporti di Orbassano, Novara, Mortara, Rivalta, Guasticce; Porti di Trieste, Venezia, Ravenna e Interporti di Melzo, Trento, Cervignano, Verona, Padova, Bologna, Parma; Porti di Civitavecchia, Napoli, Salerno, Gioia Tauro, Reggio Calabria e Interporti di Orte, Pomezia, Marcianise, Nola, Battipaglia; Porti di Corigliano, Taranto, Brindisi, Bari e di Ancona e Interporti di Bari, di Cerignola, Termoli e di Jesi; Porti di Palermo, Trapani, Catania, Augusta, Pozzallo, Messina e Interporti di Termini Imerese e Catania; Porti di Cagliari, Olbia e Interporto di Cagliari.

L’intervento pubblico all’interno delle singole società viene deciso ogni tre anni con atto formale nella Legge di Stabilità, utilizzando l’apposita quota annuale dell’1,5% del Prodotto interno lordo destinato all’infrastrutturazione organica del Paese. Senza dubbio, in questa proposta compare obbligatoriamente una scelta che da molti anni cerco di prospettare e che ritengo essenziale; mi riferisco in particolare alla presenza, all’interno della Legge di Stabilità, di una norma che fissi l’assegnazione, bloccata nel tempo, di una quota del Pil per interventi legati all’infrastrutturazione e alla gestione dei nodi e delle reti infrastrutturali del Paese.

Altro elemento chiave della proposta è la formazione di sei società per azioni che, con una motivata autonomia finanziaria, cerchino di ottimizzare al massimo la propria missione coerentemente alle indicazioni fornite dal Dipartimento della Presidenza del Consiglio a ciò preposto. In queste società la componente pubblica non può superare il 51% e le iniziative strategiche assunte dalle singole società vengono supportate da apposite forme di partenariato pubblico-privato. Tali società possono sottoscrivere accordi sia con altre analoghe società per azioni nazionali che internazionali e possono accedere alle risorse comunitarie.

Ritengo utile fare un’ulteriore precisazione: una simile proposta supera la logica di dipendenza regionale dei singoli nodi (portuali e interportuali), in quanto l’organizzazione dell’offerta logistica supera integralmente la logica del “confine” e riveste una funzione, addirittura, sovranazionale, e quindi le Regioni entrano nel merito delle linee strategiche attraverso il Comitato appositamente istituito. Le prime critiche a questa proposta saranno basate sul rischio che questa articolazione in sei società rischia di generare possibili forme di concorrenza all’interno dell’intero sistema Paese. Questa giusta critica, però, rappresenta proprio il lato positivo della proposta: la ricerca di efficienza e di sviluppo dei singoli assetti societari è il vero e misurabile successo del piano.