Siamo tutti ebrei, sì, ma anche tutti antisemiti

Commemorazione massacro 7 ottobre 2023 in Israele da parte della comunità ebraica milanese in Piazza San Carlo - Milano, Italia - Martedì, 7 ottobre 2025 (foto Stefano Porta / LaPresse) Commemoration of the October 7, 2023, massacre in Israel by the Milanese Jewish community in Piazza San Carlo - Milan, Italy - Tuesday, 7 October 2025 (photo Stefano Porta / LaPresse)

Ai miei compagni di passato e presente. Che cosa io ho scoperto dall’immane tragedia israelo-palestinese? Cosa ho rivisto della mia vita e crescita intellettuale? Una visione terrificante: sono cresciuto e maturato nel Partito Comunista Italiano che mi ha dato l’alfabeto. E le parole. Una lettera però è saltata, con il paravento di un personaggio che rispondeva al nome di Arafat. Sono cresciuto sull’assioma esaustivo di nazifascismo e antisemitismo, a parziale risarcimento del crimine assoluto. La Shoah come cima di un Everest rovesciato che non svetta in cielo ma si fa buco nero giù nel fango dell’umanità.

L’assioma Male assoluto-Nazifascismo era il fondamento ben sostanzioso dell’antifascismo, come valore originario di democrazia. Ma è davvero tutto qui? Abbiamo insegnato solo questo si nostri figli se poi comparano Hamas a Israele? Non abbiamo per caso chiuso gli occhi sulla natura antica e immensa di quell’Everest rovesciato? Era tutta lì, negli anni di treni puntuali, la portata di quell’odio condiviso – almeno in parte – dai nostri nonni? Si sa, non siamo bravi con i treni, ma con le leggi siamo artisti. E noi, noi dentro, dove eravamo? Scissi tra Arafat e la Shoah come equilibristi di circhi malnati. Di natura morale, ontologica, di nascita del mondo fondato sulla sacralità della parola. Noi dove eravamo a parte la consuetudine del “voi da che parte state?”. Poi è cresciuto in me questo fondamento con la cultura di tradizione ebraica, che ho sentito compagna di vita e di pensiero. Amica, intima, amata e invidiata. Ma è rimasta, e rimane, la Shoah come fondamento morale, soglia invalicabile, intollerabile.

Ora chiedo ai miei coetanei che condividono la mia osservazione, se questo assioma non abbia inconsapevolmente chiuso l’immenso, antico e multiforme “sentire antisemita” in una stanza storica angusta. In noi, nella nostra parte nata sulla superiorità morale del partito, scorreva il nostro antisemitismo muto, sotto traccia, come un cavo elettrico che si inabissava. Parlo di me come parlo a voi. Si diceva: non possiamo non dirci ebrei. Ma allora forse dovevamo dire, dovevano dirci (ma anche non possiamo non dirci) antisemiti e chiedere scusa a nome di chi non ammette la contrizione.