Appelli accorati che cadono nel vuoto. Davanti al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite riunito martedì scorso a Ginevra, il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov detto che in questo momento una tregua equivarrebbe «ad una resa davanti ai terroristi». Il principale alleato del presidente siriano Bashar al-Assad ha aggiunto che un cessate-il-fuoco «sarebbe considerato persino un premio ai terroristi per le loro violazioni dei trattati internazionali e di numerose risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu». E un “no” alla tregua umanitaria viene anche dal “Sultano” di Ankara. «A Idlib non faremo il minimo passo indietro. Faremo arretrare il regime siriano dietro i limiti definiti» della zona di de-escalation negli accordi con la Russia «e permetteremo il ritorno dei civili nelle proprie case», proclama il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, in un discorso al gruppo parlamentare del suo Akp. E Idlib è anche il teatro di una guerra globale tra Ankara e Damasco. Almeno 33 soldati turchi sono stati uccisi da un raid dell’aviazione siriana nella provincia di Idlib. L’attacco è arrivato nella tarda serata di giovedì, dopo il fallimento dei colloqui russo-turchi ad Ankara. È il più grave incidente che coinvolge le truppe turche dal 19 dicembre, quando è cominciata l’offensiva di Bashar al-Assad per riconquistare la provincia ribelle. Ci sarebbero anche molti feriti, portati subito negli ospedali militari in patria, come ha confermato il governatore della provincia turca confinante di Hatay, Rahmi Dogan. Le forze armate di Ankara hanno reagito con bombardamenti massicci di artiglieria, “su tutte le postazioni” governative nell’area, ha precisato il portavoce Fahrettin Altun. L’Osservatorio siriano per i diritti umani, vicino all’opposizione, ha fornito un bilancio di 34 morti. Erdogan ha convocato un vertice d’emergenza e ha annunciato che la sua guardia costiera e l’esercito non fermeranno più i profughi siriani diretti verso l’Europa, se non riceverà aiuto e sostegno dagli alleati occidentali. Il ministro della Difesa Hulusi Akar ha detto che l’artiglieria e i droni armati turchi hanno distrutto «5 elicotteri, 23 tank, 23 cannoni semoventi, due sistemi di difesa anti-aerea Sa-17 e Sa-22» e “neutralizzato”, cioè ucciso e ferito «309 soldati del regime siriano». Mentre Bruxelles (Nato) e Washington si schierano, almeno a parole, con Ankara, dalla televisione di Stato, Bashar al- Assad ha annunciato che non si fermerà: «La battaglia per la liberazione delle province di Aleppo e Idlib continua, indipendentemente dai discorsi vuoti e allarmisti che vengono dal nord». In una Norimberga siriana, lo Zar del Cremlino (Vladimir Putin), il Sultano di Ankara e il Rais di Damasco avrebbero un posto in prima fila. Sul banco degli imputati.
Siria, la strage di bambini che tutti ignorano
