Siria, ultimatum di USA e Turchia: 30 giorno per completare l’integrazione con il governo centrale

Le cose non vanno bene nella Siria di al-Sharaa, alias al-Jolani, che sembra non riuscire a cancellare la regola della brutalità che caratterizza la sua Hayat Tahrir al-Sham (HTS), mai sciolta, ma incorporata nell’esercito.
Il presidente ad interim Ahmed al-Shara sta lottando per controllare i diversi gruppi armati jihadisti salafiti che compongono la sua organizzazione di estrazione qaedista che lo ha portato al potere. L’ultimo esempio si è visto nel conflitto interetnico e interreligioso di Süweidâ, la città a maggioranza drusa nel sud del paese, vicino al confine con Israele. I gruppi salafiti, che Sharaa in seguito distingue dalla sua stessa organizzazione definendoli tribù beduine, hanno assediato Süweidâ.

Dopo gli scontri di Süweidâ, Erdoğan ha dichiarato che “la Turchia si è opposta alla divisione della Siria e continuerà a farlo oggi e domani”, ricordando le operazioni militari anticurde del 2016-2019. Ankara non vuole che i conflitti interetnici, prima con gli alawiti, ora con i curdi e con i drusi culminino nella frammentazione della Siria e nella creazione di una entità autonoma curda lungo il suo confine di 930 chilometri, per di più, sotto il patrocinio di Israele e dunque degli Stati Uniti. Inoltre il leader turco teme che questi sviluppi sabotino il processo in corso denominato dal governo turco col termine di “Turchia libera dal terrorismo” che ha visto il PKK deporre le armi, seppur simbolicamente, per la prima volta dopo 47 anni di guerra.

Gli sviluppi degli ultimi giorni dimostrano che Sharaa non è in grado di garantire la sicurezza o di mantenere l’ordine nel Paese. Questa è una cattiva notizia per la Turchia, perché teme che i curdi-siriani, che controllano la Siria nordorientale, possano sentirsi per questo motivo giustificati nel loro rifiuto di cedere incondizionatamente alla richiesta di Damasco di integrarsi nell’amministrazione centrale.
Gli Stati Uniti e la Turchia hanno concesso alle Forze democratiche siriane un ultimatum di 30 giorni per completare l’integrazione con il governo centrale. Il comandante delle SDF, Mazloum Abdi, firmò a marzo un accordo con il presidente siriano ad interim Sharaa, che delineava la completa fusione delle SDF e delle sue agenzie nel governo di Damasco. Tuttavia, ogni progresso si è bloccato poiché le SDF e altri gruppi curdi insistono nel richiedere l’autonomia. Intendono mantenere un comando militare e una struttura organizzativa separati all’interno dell’esercito siriano.

La pazienza americana e turca si sta esaurendo. Lo ha manifestato esplicitamente l’inviato speciale Usa in Siria e ambasciatore in Turchia Tom Barrack che ha chiarito in diverse interviste rilasciate questo mese che Washington si oppone alle richieste di autonomia dei curdi e preferisce una Siria unificata: una nazione, un esercito e uno Stato. “Il federalismo in Siria è una illusione”, aveva detto Barrack e ha aggiunto: “Se non siete d’accordo, sappiate che noi non saremo sempre qui [in Siria ndr.] a farvi da babysitter e da mediatori” e ha avvertito le SDF che hanno solo trenta giorni di tempo per raggiungere un accordo con Damasco, in caso contrario saranno percorse “altre alternative”. Donald Trump ha molta fretta di allineare la Siria lungo l’asse israelo-americano con la speranza di farla aderire agli Accordi di Abramo e per questo sta corteggiando il governo siriano e spingendo per un accordo di sicurezza tra Damasco e Gerusalemme.

Intanto le aziende statunitensi stanno guidando la ripresa energetica della Siria dopo la revoca delle sanzioni decisa da Trump, sviluppando un piano generale per ricostruire le infrastrutture petrolifere, del gas e dell’energia elettrica del paese. Le aziende del Golfo hanno già promesso di investire miliardi di dollari per la ripresa. La Francia, che nutre un interesse storico per la Siria e che ha forti legami con i curdi, sta facilitando un riavvicinamento delle SDF a Damasco e nei prossimi giorni è in programma un incontro di follow-up a Parigi, a cui dovrebbe partecipare anche il presidente Macron. L’obiettivo dell’incontro è rafforzare al-Sharaa consentendogli di avere il pieno controllo sul suo Paese frammentato dalla guerra.