Qualche mese fa la comunità accademica internazionale è rimasta colpita dalla “fuga” – per motivi di clima politico – di Timothy Snyder, Jason Stanley e Marci Shore, tre professori di Storia statunitensi esperti di fascismo, dagli USA al Canada.
Ancora più scalpore ha suscitato il fatto che i tre prof si siano trasferiti dalla prestigiosissima Yale University alla pur sempre prestigiosa Munk School of Global Affairs and Public Policy di Toronto, che tuttavia è qualche posizione indietro rispetto a Yale secondo le graduatorie internazionali.
La Storia ci insegna che quando degli accademici affermati decidono di mettere un punto alle loro ormai comode vite e di lasciare il proprio Paese per motivazioni politiche, non è mai un tempo felice. Il caso più famoso fu probabilmente quello di Albert Einstein, che nel 1932 si trasferì saggiamente dalla Germania in Belgio e poi, ancora più saggiamente, nel 1933 negli Stati Uniti.
Snyder: allievo di Isaiah Berlin
Fra i tre accademici americani, Timothy Snyder è forse il più celebre. Di origini ucraine, è nato in Ohio nel 1969 e ha studiato alla Brown e poi all’Università di Oxford, dove è stato allievo del monumento degli studi politici Isaiah Berlin. Si è specializzato in Storia dell’Europa orientale, storia della Shoah e dei regimi totalitari. Questo suo volume, On Liberty (in italiano Sulla libertà, Rizzoli, 2025, € 20,90) è un libro denso, profondo, difficile da leggere per quanto è amaro.
Si tratta di un’opera allarmante e urgente, che si propone di ridefinire e difendere il concetto di libertà nel nostro tempo segnato da crisi politiche, guerre e disinformazione. Snyder sposta qui il suo focus dalla denuncia dell’autoritarismo alla costruzione di una visione positiva e militante della libertà stessa, e lo fa attingendo anche alla propria autobiografia, rendendo questo lavoro un ibrido nel panorama della saggistica.

La differenza fra “Leib” e “Korper”

Sono cinque le declinazioni della libertà che l’autore presenta in altrettanti capitoli iniziali: libertà come sovranità, imprevedibilità, mobilità sociale e personale, fattualità e solidarietà. Queste declinazioni consentono di tornare a parlare della celeberrima dicotomia stabilita da Isaiah Berlin (Two Concepts of Liberty, 1958) circa una libertà positiva (libertà di) e una libertà negativa (libertà da) in modo un po’ diverso. Snyder, infatti, ricollega i due concetti ai termini tedeschi di “Leib” e “Korper“, traducibili in italiano come, rispettivamente, “anima” o “spirito” e “corpo materiale”.
Il libro nasce in risposta a una duplice minaccia: quella esterna rappresentata dall’aggressione russa all’Ucraina e quella interna ai regimi democratici occidentali, logorati dal populismo, dalla disinformazione e dall’erosione delle istituzioni da parte del duo Trump-Putin. Snyder unisce riflessione storica, filosofia e testimonianza personale per proporre la libertà come valore fragile, privo di garanzie eterne, che va difeso e praticato giorno per giorno.
L’Ucraina come simbolo della lotta globale per la libertà
Uno dei fulcri di On Liberty è il racconto della resistenza ucraina contro l’invasione russa, una vicenda che Snyder non descrive solo come guerra regionale ma come terreno decisivo nella battaglia mondiale tra libertà e oppressione. L’Ucraina diventa dunque il simbolo della lotta globale per la libertà. Snyder, che ha vissuto a lungo in Ucraina, narra la devastazione, l’eroismo della popolazione e la loro determinazione a difendere uno spazio di democrazia e futuro. La loro lotta, per l’autore, coinvolge l’intero destino della democrazia, dimostrando che la libertà non è mai garantita, ma richiede sempre impegno e solidarietà internazionale. Interessante anche la lettura che Snyder dà della Seconda guerra mondiale come “una guerra coloniale per l’Ucraina”:
Dal 1941 al 1945, la Germania nazista e l’Unione Sovietica combatterono una guerra coloniale per l’Ucraina, che ricordiamo come la Seconda guerra mondiale. Il fatto che due potenze europee si contendessero una zona di confine dell’Europa orientale indicava che non c’erano altri territori disponibili. L’Ucraina era ora al centro del colonialismo globale.
Hitler considerava l’Unione Sovietica uno Stato fragile e gli ucraini un popolo destinato alla dominazione, ma così non era. Le differenze tecnologiche tra la Germania nazista e l’URSS erano minime. La Germania non aveva vantaggi immunologici; anzi, i tedeschi temevano i patogeni mentre invadevano il territorio. L’Unione Sovietica era sostenuta dalla potenza economica americana, il che fece la differenza. Dopo aver sconfitto la Germania nazista, l’Unione Sovietica riprese il controllo dell’Ucraina e restaurò l’impero. Durò solo 46 anni.
Il “sadopopulismo” di Trump
Snyder affronta anche la crisi interiore delle democrazie occidentali, in particolare quella degli Stati Uniti, insidiata dalla disinformazione e dalla politica di quello che lui efficacemente chiama “sadopopulismo” incarnato da leader come Donald Trump. L’autore denuncia l’erosione della verità, l’indebolimento della fiducia nelle istituzioni e nei media, e indica come questi fenomeni, se non contrastati da un’azione civica e collettiva, possano far deragliare anche le società più solide verso derive autoritarie. E’ appunto il caso degli Stati Uniti.
Anche qui, l’interpretazione di Snyder è originale ed efficace: da una parte collega l’emergere del populismo con la fine del giornalismo locale, quello che per quasi un secolo ha svolto in America (e non solo in America) anche una funzione di gatekeeper, ossia di custode delle piccole verità, dei piccoli fatti che costituivano la vita delle persone; dall’altro il contemporaneo debordare di Internet e poi dei Social. Citando Snyder:
Gli algoritmi dei social media ci tengono online con una formula dolorosamente elegante: troppi contatti (apparenti) con gli altri sotto forma di rapida affermazione, ma anche troppo poco contatto con il vero leib degli esseri umani reali. […] Quello che potrebbe sembrare un dettaglio umano pittoresco, ovvero il fatto che passiamo sempre più tempo a guardare contenuti sempre più seducenti, ha cambiato il mondo a metà degli anni 2010. Il passaggio da una convenzione all’altra, dal guardare le persone al guardare gli schermi, ha reso possibile tutta una serie di eventi che altrimenti sarebbero stati impossibili. Nel 2014 mi sono reso conto che le storie reali degli ucraini contavano poco nel dibattito pubblico sulla guerra, perché i pregiudizi amplificati meccanicamente occupavano tutto lo spazio.
Libertà come capacità di realizzare se stessi
Un elemento che a me invece non ha convinto del tutto è l’approccio esperienziale di questo saggio: Snyder intreccia nozioni storiche e politiche a episodi personali (come il suo insegnamento nelle carceri americane), distillando la libertà come pratica quotidiana, fatta di piccole grandi scelte, di rischi condivisi per costruire un futuro migliore. La “libertà di”, non la semplice “libertà da” qualcosa, diventa per Snyder la capacità di realizzare se stessi, assumendosi responsabilità collettive e progettando istituzioni inclusive per le generazioni future. Ne vien fuori una sorta di autobiografia della libertà incarnata nella persona dell’autore.
Belli però i tentativi di calarsi nei panni delle persone afroamericane, di assumerne il punto di vista di minoranza visibile e di analizzare la società statunitense alla luce di questa grande, immensa discriminazione che esisteva nel passato ed esiste ancora oggi. Snyder qui offre delle pagine colte e acute, che fanno riferimenti costanti a ciò che lui ha imparato dai suoi studenti carcerati durante un corso che Yale gli ha fatto tenere presso una prigione del Conneticut. Qui, a mio avviso, Snyder dà il meglio di sé, proprio perché è consapevole del privilegio del suo appartenere a una maggioranza visibile bianca all’interno di uno dei paesi più razzisti della storia umana.
Havel, Stein, Weil: le fonti di Snyder
Il pensiero di Snyder è nutrito di riferimenti a figure come Václav Havel, Edith Stein, Simone Weil, che incarnano la libertà come impegno concreto, sovranità morale e apertura all’imprevisto umano. Il libro suggerisce che la libertà autentica nasce dall’imprevedibilità, dalla solidarietà, e dall’attiva difesa delle istituzioni democratiche.
On Liberty non è soltanto un trattato teorico: è un appello pressante a riscoprire la libertà come valore pratico e dinamico. Snyder sollecita il lettore ad agire, a votare in maniera consapevole, a cercare connessioni reali oltre gli schermi, e soprattutto a non considerare mai la libertà come acquisita: la democrazia va costruita e difesa giorno per giorno, contro minacce sia visibili che sottili.
