Sorry we missed you, Ken Loach e gli inganni della gig economy

La macchina lo dichiara lavoro autonomo per liberarsi dei vincoli sociali e contrattuali conquistati dalle lotte industriali e lo riduce a una nuova forma di schiavitù. La saturazione dei tempi di lavoro industriali era illustrata dalla compressione anche dei bisogni fisiologici, mangiare, bere, pisciare. La saturazione dei tempi di consegna delle merci imposta a Ricky fa strame di ogni diritto. La condizione ci viene proposta dall'immagine di una bottiglia che Ricky dovrà usare e portarsela sempre appresso per non perdere tempo andando in bagno. È l'equivalente della chiave inglese di Chaplin in Tempi moderni. qui non c'è solo lo sfruttamento, c’è l'espropriazione, c’è la spoliazione. Sebastian è un adolescente inquieto, i suoi genitori continuano ad essere affettuosi, ma sono preoccupati e il lavoro li porta, li costringe più lontani. Quando si mette nei guai, l'impossibile equilibrio familiare esplode. Le meravigliose donne, madre e figlia, provano in tutti i modi a rimettere a posto le scardinate tessere del mosaico. Ma sul furgone e su Ricky precipita il sempre possibile disastro. Ricky viene aggredito e derubato di tutta la merce da consegnare, malmenato e ferito. All'azienda tutto ciò non importa, esula dallo schema la cui unica guida è il massimo profitto. Perciò le va restituito l'ammontare del valore della merce e quando, per le ferite o per una qualsiasi anche estrema esigenza, è costretto ad assentarsi dal lavoro, non solo non sarà per nulla retribuito (la malattia non è contemplata) ma dovrà pagare una pesante penalità. Si affaccia la soglia della disperazione, la famiglia ricomposta vi resiste col suo deposito di amore e di condivisione del comune destino, ma non si sa se potrà farcela contro "la macchina". Quando Ricky, gravemente ferito riprende, contro tutto, la guida del furgone, Abby, Sebastian e Liza non riescono a trattenerlo, stretti l'uno all'altra. Nel patto dell’esistenza, non si sa se potranno sottrarre Ricky alla crudeltà del rapporto di lavoro, di un rapporto di lavoro disumanizzante che non riconosce la vita umana. È la logica spietata della macchina, niente di personale. Anche il capo azienda, nell'imporre il suo terribile disciplinare, nell'esercitare il suo ruolo di “frusta", non esprime un carattere, il carattere della perfida cattiveria, solo è un ingranaggio della macchina che pretende il massimo profitto. La disumanizzazione è la cifra della macchina. Il film trascende la storia, oltre la rappresentazione della realtà esso ne strappa dei lembi drammatici e, con essi nella realtà ti immerge. È un film di verità e di vita. Senza indicare vie di fuga, implacabile nel corpo a corpo con "la macchina", Ken Loach non ci offre sortite consolatorie. Viene solo in mente l’antico "la verità è rivoluzionaria” e che bisogna sapersi sottoporre, anche al cinema, alla sofferenza, per continuare a cercarla.