L’Italia gode oggi di un inedito accreditamento presso i mercati internazionali. Merito, secondo il prof. Domenico Lombardi, direttore del Policy Observatory presso la School of Government della Luiss, della coerenza nelle politiche di bilancio e della ritrovata stabilità politica. In un contesto globale turbolento, l’Italia si distingue per prudenza fiscale e resilienza. Ma per consolidare questa traiettoria servono riforme microeconomiche che stimolino investimenti privati e produttività.
Quali sono le ragioni dell’accreditamento dell’Italia presso i mercati finanziari?
«Gli obiettivi del governo Meloni non erano significativamente diversi da quelli di altri governi. La differenza, però, è stata nella capacità di trasformarli in azioni concrete, coerenti e congruenti. In un contesto internazionale mai così incerto e sfidante nella storia recente, la finanza pubblica è stata da subito ancorata a una postura prudenziale mantenendo i conti in equilibrio e convincendo i mercati. Tanto che oggi si parla di un’uscita anticipata dalla procedura Ue di infrazione, un traguardo impensabile solo fino a poco tempo fa. L’Italia, oggi, è diventata un’àncora di stabilità macro-fiscale per l’Eurozona: la resilienza si può costruire anche in condizioni esterne avverse».
La Francia fa segnare un deficit vicino al 6%, contro l’Italia a meno del 4%. E sta scontando una prolungata instabilità politica. Parigi mina vagante d’Europa?
«La Francia da tempo vive difficoltà politiche e sociali, prime che economiche, ma i mercati continuano a confidare nell’intervento della BCE in caso di crisi, calmierando le aspettative negative degli operatori di mercato. I rating rimangono sostanzialmente stabili, mostrando che le agenzie per alcuni paesi sono troppo prudenti, per altri, invece, assai meno. Al di là dei rating, la stabilità politica resta decisiva per la fiducia dei mercati. È ciò che l’Italia sta dimostrando e da cui sta traendo beneficio».
Come il governo può accompagnare questo momento positivo dei principali indicatori macro dell’Italia?
«Conseguita la stabilità macro-fiscale, oggi occorre passare alla microeconomia creando un clima maggiormente favorevole per gli investimenti privati.
Col PNRR sono stati compiuti importanti passi avanti sul fronte degli investimenti pubblici, ma ora serve una spinta altrettanto decisa per mobilitare anche quelli privati.
A maggior ragione visto che l’economia sta conseguendo un altro significativo risultato, convergendo verso la piena occupazione. Si tratta di creare un circolo virtuoso tra stabilità, crescita e occupazione. Tale nesso, per essere sostenibile, ha bisogno di solide fondamenta microeconomiche».
L’Italia deve cambiare pelle, diventare una società di servizi e smettere di essere un paese manifatturiero?
«Oggi la priorità è sostenere soprattutto le piccole e medie imprese in una fase internazionale complessa, semplificando gli oneri burocratico-amministrativi e facilitando l’accesso a capitali di debito e di rischio.
Tutto ciò deve avvenire in un contesto di stabilità: solo così si può sostenere innovazione, riconversione industriale e nuova occupazione».
Dazi USA ed effetti per grandi e piccole imprese italiane. A quali mercati guardare con interesse?
«Anche se la qualità dei prodotti italiani fornisce un primo livello di difesa, occorre in ogni caso diversificare i mercati, rafforzando la presenza sui mercati emergenti, come Asia e alcune economie dell’Africa, dove le classi medie sono in crescita.
Serve pazienza e va tenuta presente una lezione chiara: la concentrazione ci rende vulnerabili. Diversificare è la strada per ridurre i rischi, soprattutto nel contesto di un’economia mondiale sempre più conflittuale».
Negli USA il governo ha acquistato il 10% di Intel ed è diventato primo azionista. Dopo l’era delle privatizzazioni è iniziata ufficialmente quella del ritorno del settore pubblico nell’economia?
«L’obiettivo di Washington è ugualmente quello di attrarre investimenti in settori nevralgici per consolidarne la competitività nell’economia mondiale. L’amministrazione Trump sta, di fatto, costruendo un enorme fondo sovrano virtuale: non esiste giuridicamente, ma funziona come tale, attraendo e convogliando capitali stabili provenienti dall’estero in settori strategici come, per esempio, difesa e tecnologia. Questa è la strategia per proteggere la crescita americana dalla volatilità e dalla incertezza globale».
Il risiko bancario italiano ha riacceso la borsa e produrrà i suoi effetti. Come capire se sarà stato un successo?
«Le fusioni e acquisizioni vanno fatte se servono a dare concretezza alle strategie industriali delle banche, ma l’obiettivo ultimo rimane quello di finanziare le imprese meritevoli a condizioni sempre più accessibili e competitive.
Questo sarà il vero banco di prova del risiko bancario, a maggior ragione che, oggi, le grandi banche italiane hanno capitalizzazione e profittabilità superiori alla media europea. È arrivato il momento di tradurre questi numeri in maggiore credito all’economia reale».
Che momento economico vive l’Unione europea e quanto è importante completare il Mercato Unico?
«Il Mercato Unico è l’asset più prezioso che l’Europa abbia costruito dal Secondo Dopoguerra e va difeso con forza. Tuttavia, col tempo l’Ue ha prodotto un eccesso di regolazione che finisce col comprimere la competitività delle imprese europee, soprattutto delle PMI, molte delle quali italiane. La soluzione non è, ovviamente, il far west normativo, ma una regolazione più efficiente e proporzionata alla peculiare morfologia del nostro tessuto produttivo.
Finché l’Ue non troverà un equilibrio in questo senso, sarà difficile estendere il Mercato Unico ad altri settori perché mancheranno il consenso politico e la legittimazione degli stakeholder. Ma tale consenso la Ue lo deve guadagnare sul campo».
