Potremmo chiamarlo il rimpasto della disperazione, l’ultima chiamata prima della tempesta perfetta su Sir Keir Starmer. É passato poco più di un anno da quando i laburisti hanno vinto le elezioni in Inghilterra ma il terremoto seguito alle dimissioni della vicepremier Angela Reyner, per un’omissione fiscale sull’acquisto di una casa, rende il primo ministro traballante e la sua stessa permanenza a Downing Street non più così scontata. E si addensano le ombre sulle “vere ragioni” di questo abbandono: nella speranza di salvare il suo governo, Starmer punta sull’usato sicuro e si incatena alle vecchie volpi di scuola blairiana che tornano in cattedra per ridisegnare il dna di un partito che assomiglia sempre di più alla destra. Reyner, che peraltro per ironia della sorte occupava anche il dicastero dell’Edilizia, esce di scena dalla porta di servizio e fanno il loro ingresso nella stanza dei bottoni Yvette Cooper al ministero degli Esteri e Shabana Mahmood agli Interni, che si aggiungono alla ministra del Tesoro Rachel Reeves entrata in squadra nei giorni precedenti.
Al di là dell’operazione di restyling che pone per la prima volta i tre Grandi Uffici di Stato, ossia i ministeri più importanti, in mani femminili, è chiaro che si naviga a vista e la condotta sui dossier più caldi richiederà molto pragmatismo e meno idealismo. Materia in cui i blairiani sono maestri. Il posto come vicepremier è stato assegnato a David Lammy, che si sposta dagli Esteri alla Giustizia. Esce sbattendo la porta Ian Murray, ministro per la Scozia con una lettera di protesta al vetriolo inviata a Starmer. Fuori anche Lucy Powell, ministra dei rapporti con la Camera dei Comuni. Nomine e siluramenti fanno già discutere: Cooper, che da ministra degli Interni aveva scelto la linea dura sull’immigrazione, è una figura di spicco di quell’arsenale blairiano cui Starmer è ormai costretto a ricorrere per l’inconsistenza del suo gruppo dirigente. Stesso stile da lady di ferro anche per Mahmood, di origini pachistane, musulmana praticante, antisemita dichiarata, già contraria all’aborto e al suicidio assistito, e fautrice di una linea inflessibile contro l’immigrazione.
Il candidato alle prossime elezioni
Il vero punto delicato riguarda la scelta del possibile candidato alle prossime elezioni politiche. Un deputato che ha voluto rimanere anonimo, sulle pagine del Times ha suggerito l’ipotesi di elezioni anticipate il prossimo anno e nonostante l’inquilino di Downing street si sgoli per confermare che sarà lui a traghettare il partito fino al voto, crescono le voci critiche. Fino a ieri la ex vicepremier era la perfetta alternativa. Le sue origini popolari e il suo marcato accento del nord, il linguaggio sguaiato e persino gli inseparabili scarponi la rendevano figura capace di contrastare Farage e Corbyn sul loro stesso terreno. Ma oggi si torna all’antico, ai cacicchi di partito che sanno navigare nelle tempeste.
Farage pronto a governare
Intanto Farage gongola e durante il trionfale congresso di questo weekend a Birmingham ha sparato a zero sul premier, dichiarato morti i suoi rivali conservatori e si è detto pronto a governare. La mutazione istituzionale del suo partito è compiuta, lo si è visto nella kermesse e i sondaggi sembrano dargli ragione. Reform UK, vola oltre il 35%. Neppure la tory Kemi Badenoch si fa pregare e accusa Starmer di aver mentito fin dall’inizio: conosceva la verità ma ha dovuto aspettare un rapporto prima di agire. Ora dopo aver perso un vice primo ministro, un segretario ai trasporti, un ministro anticorruzione e un ministro per la questione dei senzatetto, tutti travolti da scandali, che farà il premier, si chiede Badenoch? La strada è in salita. Basterà la scaltrezza blairiana a salvarlo? L’orizzonte resta denso di nubi.
