Storia del luglio 1960, quando l’antifascismo divenne nuovamente un valore

Lo sciopero è fermato e il 3 luglio, una gigantesca manifestazione saluta il risultato con il ritorno dei padri: Luigi Longo, Umberto Terracini, Pietro Secchia, Franco Antonicelli, Domenico Riccardo Peretti Griva prendono la parola. Sembra il passaggio di testimone e per i tanti giovani che li ascoltano, quelli delle magliette a strisce, è l’inizio di una storia tutta da farsi, potendo però camminare sulle spalle dei giganti. Come sempre, quando si fa realtà l’imprevisto, politica, cultura, società e lotta di classe si mescolano fino a formare un materiale generatore di nuova soggettività politica e di cambiamento radicale. La lotta e gli scontri si moltiplicano ancora: il 5 luglio a Licata, un morto e 24 feriti, intanto sedi di partiti e case di antifascisti vengono presi di mira dai fascisti imbestialiti; a Roma, una manifestazione è vietata, ma ugualmente organizzata dalle forze di sinistra e viene cariata potentemente dalla polizia a cavallo. La polizia continua ovunque nella sua violenta opera di repressione. Il suo culmine tragico è il 7 luglio, durante un’imponente manifestazione sindacale a Reggio Emilia, la polizia e i carabinieri sparano sulla folla, provocando 5 morti. Lo shock è enorme. Il presidente del Senato Merzagora chiede e ottiene la tregua, mentre nello stesso giorno, ancora a Palermo, si registrano due morti e centinai di feriti, e un morto ancora a Catania. Ma per il governo dell’infamia, dopo la sconfitta sul campo dei fascisti, è ormai finita. Il 19 luglio il governo Tambroni si dimette. Della strage di operai a Reggio Emilia non si perderà la memoria grazie alla canzone di Fausto Amodei Per i morti di Reggio Emilia, che la fisserà insieme all’impegno di quelle generazioni. Ma chi erano quei giovani, prima che le loro magliette a strisce diventassero il simbolo di una nuova generazione politica? Erano ragazze e ragazzi immersi nel loro tempo, da questi se ne distanziava solo una minoranza critica che dall’Ugi ai movimenti giovanili dei partiti della sinistra, ai cineforum, ai luoghi della cultura altra, si veniva formando in autonomia. La gran parte di essi, invece, solo per essere dentro il suo tempo, era apostrofata perlopiù come poco interessata all’impegno e alla politica, o addirittura, come per una parte della popolazione studentesca con gli scioperi per Trieste italiana, considerata distante dalla politica della sinistra del Movimento operaio. Si scoprì sulla piazza che le magliette a strisce erano la gran parte degli studenti medi e universitari e tanti, tantissimi giovani operai. Un grande intellettuale, un maestro disse di loro, e certo non benevolmente, che si erano venuti assomigliando, eppure quell’evento li calamitò. Un’onda si sollevò da quel moto di piazza e li trascinò all’azione e li cambiò nel fondo. Incontrarono in piazza fisicamente gli operai e furono colpiti della loro unione, dalla loro forza, dagli ideali che li muovevano e che apparvero così giusti da essere condivisi e partecipati. Conobbero nello scontro le istituzioni del Movimento operaio, il sindacato di classe, il Partito operaio e parve anche a loro che non se ne potesse fare a meno. Donne e uomini che guidavano lo scontro di piazza, che organizzavano la partecipazione alle manifestazioni sembravano loro i nuovi eroi popolari. Le loro parole d’ordine, le loro insegne, le loro bandiere, i loro canti erano subito diventati anche i propri. Quando da quella moltitudine emersero i nuovi “quadri”, essi formarono organizzazioni come “La nuova Resistenza” e si incamminarono per la via di una “militanza organica”, “militanti a tempo pieno”, come si diceva allora. Entrarono nel sindacato e nel partito per restarvi. Troppo ambizioso rifarsi al titolo di un libro famoso di Giorgio Amendola, Una scelta di vita. Ma certo, quella generazione, nata dal luglio del Sessanta, portò con sé, oltre a una maglietta a strisce, quello che il Che chiamò la politica come “una passione durevole” e, come sempre in Italia nei momenti acuti, l’antifascismo tornava a proporsi come il campo di ricerca privilegiato e di lavoro politico. Avevano visto materializzarsi gli esempi umani e politici a cui riferirsi. Erano tornati lì, davanti e insieme a loro, i monumenti viventi della Resistenza, Terracini e, per altro verso, Pertini. A me piace ricordare Franco Antonicelli, un intellettuale raffinato, che era stato persino precettore degli Agnelli, un protagonista di quei licei torinesi da cui, durante il dominio fascista, uscirono tra i più straordinari uomini del carcere, del fuoriuscitismo e della Resistenza. Un uomo, Franco Antonicelli, che con una leggerezza calviniana e con la sua eleganza ci invitava e guidava alle dure manifestazioni di piazza. E attorno a noi, prima e poco dopo il Sessanta, prendevano corpo i semi del cambiamento che si annunciavano anche su altri terreni. Nel 1961 a Torino nascevano i Quaderni rossi, forse la più importante rivista di teoria e di pratica politica che, a partire dalla scoperta della centralità operaia, ha puntato a cambiare il paradigma stesso della sinistra politica per operare l’attualizzazione della rivoluzione. Ma sempre nella Torino dell’avvento dell’operaio comune di serie e immigrato, già nel ’57, nascevano i “cantacronache”, con la riscoperta dei canti di protesta del popolo e con una nuova produzione di canzoni contro. Il rovescio di Sanremo. Anche nel teatro e nel cinema si avvertiva che il vento poteva cambiare, Milano in testa. Era proprio il triangolo industriale del boom economico, come il Sud dei braccianti, che cominciava a non stare più nella pelle di quel sistema. La radicalmente innovativa lotta degli elettromeccanici a Milano portava i metalmeccanici in sciopero a fare, nel dicembre del 1960, in piazza del Duomo, il primo Natale diverso per il mondo del lavoro. Poco tempo dopo, nel 1962, gli operai della Fiat, dopo uno sciopero ancora fallito, tornarono per la prima volta, dopo 9 lunghi anni, allo sciopero riuscito con una partecipazione di massa, una vera svolta. Dovunque in Italia, prendeva corpo un nuovo conflitto sociale e politico, i vecchi assetti si incrinavano irrimediabilmente.