Qualche tempo fa vi abbiamo raccontato la vicenda di Maria Grazia Modena, eccellenza della cardiologia italiana, accusata ingiustamente dalla procura di Modena di presunte sperimentazioni cliniche non autorizzate su pazienti inconsapevoli. Lei è stata assolta in Cassazione avendo scelto l’abbreviato, i suoi colleghi al momento in appello con rito ordinario. Oggi vi raccontiamo la storia Mario Marino, ex Comandante del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Modena: anche lui è stato accusato ingiustamente dalla stessa Procura ed è stato prosciolto da tutte le accuse, assistito dagli avvocati Massimiliano Iovino di Bologna e Nicola Avanzi del foro di Verona. È una storia complessa che si inserisce in una più ampia inchiesta denominata gli ‘Intoccabili’, nata nel 2013 per smantellare un presunto sodalizio criminale di usura, estorsioni e riciclaggio.
Dottor Marino Lei come e quando entra in questa inchiesta?
Nel 2014, dopo appena 6 mesi dall’assunzione del Comando del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Modena, a luglio mi congedai per entrare in qualità di primo dirigente presso la Fondazione Cariverona in Verona. Il 2 ottobre del 2015, la Procura di Modena mi notificherà un ordinanza con obbligo di firma, revocata dal Tribunale dei Riesame di Bologna quindici giorni dopo, poiché indagato per corruzione per fatti accaduti durante il periodo di comando a Modena.
Di cosa la accusavano?
La Procura mi contesterà la circostanza che tra maggio e luglio 2014, a seguito di alcune telefonate con un brigadiere, avrei dato a costui la mia disponibilità a contattare il direttore dell’Agenzia delle Entrate di Modena per risolvere una questione riguardante un suo amico, l’ imprenditore Adamo Bonini, al centro dell’inchiesta gli ‘Intoccabili’. Secondo la Procura avrei ricevuto dall’imprenditore presunti vantaggi economici, quali il prestito gratuito di un macchina per 14 giorni e la riparazione di un’autovettura, una Fiat Punto in cambio del mio interessamento presso l’Agenzia.
Ma Lei davvero gli fece il favore con l’Agenzia delle Entrate?
No. Assillato dalle continue pressioni del mio collaboratore, ed essendo oramai in procinto di lasciare il mio incarico per congedarmi, dissi che mi stavo interessando alla vicenda del Bonini e che avevo parlato con il direttore dell’Agenzia delle Entrate di Modena. Dalle intercettazioni sul mio cellulare di servizio, si rinvenirà infatti un solo colloquio tra me e l’imprenditore in cui in un passaggio dirò “sto lavorando per te”. Per l’accusa era la prova che mi inchiodava alle mie responsabilità. In verità, come poi si scoprirà, non ho mosso un dito, né alzato il telefono e neppure mi sono mai recato all’Agenzia delle Entrate di Modena.
E allora perché l’hanno portata a processo?
Basandosi unicamente su 5 colloqui telefonici intercettati che non hanno peraltro dato, – ed è il paradosso – i riscontri che l’accusa sperava, ed infatti la Procura sarà suo malgrado costretta a concludere: “Resta il dato probatorio negativo delle indagini volte a riscontrare l’identità del funzionario contattato, posto che da un lato gli impiegati addetti dell’Agenzia delle Entrate, escussi a sommarie informazioni testimoniali, hanno tutti negato ingerenze di sorta, o anche solo una conoscenza personale con il Capitano Marino, e dall’altro lato anche l’esame degli accessi in banca dati non ha dato alcun esito”, e allora, “interpretando” il principio dell’oltre ragionevole dubbio, pur di arrivare al processo, così motiveranno: “Le s.i.t. assunte dalla P.G. dimostrano che tale verifica rappresenta un lavoro svolto in equipe e con la partecipazione di numerose figure burocratiche, sicché non pare facile astrattamente che si sia potuto verificare un radicale distrorcimento della funzione ispettiva esercitata dall’ Ufficio Finanziario”. Mi chiedo se sia giuridicamente accettabile che un ipotesi, “astratta” possa assurgere a motivo per giustificare un rinvio a giudizio, una misura cautelare e pur anche una condanna. Peraltro dimostrai, circostanza non contestata dall’accusa, che il prestito non fu a titolo gratuito. Senza la virtù del dubbio il finale è già scritto, e così per la Procura un’asserzione indimostrata, – quella che vorrebbe che avessi parlato con qualcuno dell’Agenzia delle Entrate – verrà ammantata come verità incontrovertibile.
Com’è andato il processo?
Chiesi di procedere con rito abbreviato, volendo uscire il più velocemente possibile da questa vicenda, e sperando di allontanare il mio nome da persone e vicende che non mi appartenevano. L’accusa di corruzione si scioglierà come neve al sole, ma verrò condannato ad un anno di reclusione per millanteria. Per il giudice avrei millantato la conoscenza del direttore dell’Agenzie delle Entrate per ottenere come vantaggio economico il secondo prestito di 4 giorni dell’autovettura, considerato che il primo prestito era antecedente alla presunta millanteria. Il vantaggio per la millanteria? Circa 80 euro, nonostante, ripeto, abbia pagato per il prestito.
In appello cosa è successo?
La Corte di Appello di Bologna nel gennaio dell’anno appena trascorso ha smentito per la seconda volta la Procura di Modena sull’ipotesi corruttiva con “il fatto non sussiste”, cassando anche la millanteria. Sentenza passata in giudicato l’8 settembre. A cui si aggiunge la smentita del Tribunale del riesame. Il compianto Sandro Ciotti avrebbe detto: 3-0 e palla al centro.
Cosa Le ha fatto più male di questa vicenda?
Era necessario chiedere la misura cautelare e sottopormi ad un “penoso” fotosegnalamento? La Procura di Modena temeva forse che potessi “darmi alla macchia”, considerato che ero incensurato, una posizione lavorativa e economica importante, una famiglia, oltre ad una storia lunga più di 6 lustri nell’Arma dei Carabinieri? Sospettava che potessi inquinare le prove o reiterare un reato, tenuto conto che mi ero congedato da oltre un anno e non vivevo più a Modena?
In conclusione?
Un passato lungo 34 anni, faticosamente costruito con sacrificio e abnegazione “evaporato”, un futuro “distrutto”, con riverberi ancora più devastanti per la mia famiglia. Questa vicenda poi ha innescato un epilogo ancora peggiore, poiché fui costretto dal d.g. e dal Presidente della Fondazione Cariverona a dare le dimissioni. Il paradosso è che mi furono chieste le dimissioni dal Presidente il quale pochi anni prima venne rinviato a giudizio per bancarotta privilegiata; non solo non si dimise, ma oltretutto fu pure riconfermato nell’incarico. Per tutelare il mio diritto al lavoro sono stato costretto a citare Fondazione Cariverona in giudizio. La conclusione? Accusato ingiustamente e condannato due volte: dalle persone che ritengono che quanto narrato in una conferenza stampa da un PM corrisponda necessariamente ad una verità assoluta e incontrovertibile, e dalla Fondazione Cariverona. Ciò che stabilirà un giudice, sarà poi un dettaglio.
